L’edificio di piazza Mirabello e il paradosso di Milano
Più aumenta l’interesse internazionale nei confronti dell’architettura milanese moderna, maggiore è il rischio che corrono le sue opere. Il caso dell’edificio residenziale di Jan Andrea Battistoni per il Pio Albergo Trivulzio
Published 9 dicembre 2024 – © riproduzione riservata
MILANO. Un paradosso milanese: più aumenta l’interesse internazionale nei confronti dell’architettura milanese moderna, maggiore è il rischio che corrono le sue opere.
Ancora una volta siamo a segnalare un’architettura in pericolo, dal momento che i documenti di piano dell’amministrazione comunale non sono ancora organizzati per avere un regesto delle architetture che meritano attenzione da parte di proprietà e progettisti. Negli ultimi anni sono stati organizzati diversi strumenti, dal regesto di Lombardia Beni Culturali agli itinerari dell’Ordine degli Architetti, dagli studi collettanei, a quelli monografici, ma al momento non sono ancora stati messi a sistema per consolidare atti amministrativi adeguati a tutelare efficacemente il paesaggio moderno di Milano.
L’edificio per abitazioni di Jan Andrea Battistoni
È in questo contesto che s’inserisce il rischio che corre l’edificio per abitazioni realizzato per la società benefica del Pio Albergo Trivulzio a metà anni sessanta, ora in fase di cessione, con una possibilità d’intervento che arriva fino alla nuova costruzione. Un rischio reale di manomissione del carattere dell’edificio che ha spinto gli eredi a procedere con la richiesta alla Sovrintendenza di dichiarazione d’interesse culturale ai sensi dell’art. 10, comma 3 d.
Una nota caratteristica delle opere realizzate a Milano nel dopoguerra è la specificità delle singole sperimentazioni, uniche per linguaggio, per ricerca tipologica, per dettagli costruttivi, realizzati con un perfetto controllo della materialità. In questo caso è il materiale ligneo a caratterizzare l’immagine del prospetto. Si tratta di un’architettura complementare al luogo, nel definire il paesaggio urbano di una delle poche piazze di Milano: le dimensioni, le proporzioni, l’importanza del tetto e lo svuotamento dello spigolo ne ridefiniscono volumetricamente il carattere, in sintonia con l’originale linguaggio che l’architetto con influenze nordiche propone. La composizione è caratterizzata da una sequenza di robusti cornicioni sporgenti che percorrono l’opera in tutto il suo perimetro e ne scandiscono verticalmente la successione dei piani. Le superfici di tamponamento ai piani tipo alternano pannelli prefabbricati in graniglia a grandi serramenti, singoli o in sequenza, alti l’intero interpiano e dotati d’imponenti scuri in legno. L’uso del legno, la libertà e il movimento delle persiane che sembrano scorrere sul registro dei marcapiani, creando grandi superfici in legno quando chiuse o, in alternativa, un gioco fitto di ombre quando impacchettate a formare una trama di setti, ne fanno uno dei primi modelli di un’attitudine costruttiva e compositiva ora largamente diffusa.
La cultura scandinava e la sua attenzione alla domesticità trova in questa casa milanese una sua declinazione unica. Di sera mostra, senza mediterraneo pudore, i suoi interni articolati e spaziosi, scanditi dal passo serrato delle finestre; di giorno la vita gioca invece a nascondersi dietro l’alternarsi delle lunghe ante di legno e solo l’osservazione più attenta coglie il passo sottostante delle finestre, regolare come in un’architettura antica. Un motivo rafforzato anche nella modanatura e dalla dimensione del marcapiano che racconta un parapetto interno eccezionalmente basso, un piano di legno continuo che si fa panca, come si può apprezzare in pianta, con l’aggetto del serramento in corrispondenza del salotto, atto a creare piccoli bow window dove sedersi.
Il continuo scambio tra tradizione e modernità, caratteristico della cultura di Ernesto Nathan Rogers, con cui l’autore aveva collaborato a «Casabella-Continuità», è leggibile anche nel gocciolatoio che si fa decorazione classica, con un montaggio a secco e di taglio degli elementi quasi zanusiano, allontanandoci con decisione dalla sagomatura della materia tradizionale per collocarci negli anni della prefabbricazione.
Le scelte progettuali si ricompattano in un volume deciso, coronato da un imponente tetto, che si articola su due piani, alla maniera della Rinascente di Franco Albini a Roma: l’ombra del cornicione è accentuata dall’arretramento del piano attico, permettendo di articolare un terrazzo che scava serre di luce all’interno degli alloggi.
La compattezza dell’involucro edilizio, coerente con la razionalità modulare dell’impianto tipologico, l’elegante composizione dei fronti, dove spicca la ricercatezza dei materiali e l’attento studio dei dettagli costruttivi, e, infine, la chiarezza dell’inserimento urbano, sono caratteristiche che accomunano le architetture milanesi del dopoguerra, che, nell’architettura di Battistoni, verrebbero irrimediabilmente cancellate nel caso d’interventi sull’assetto architettonico, cancellando un pezzo unico di storia di cultura materiale e costruttiva, che merita la tutela adeguata.
Immagine copertura: Jan Andrea Battistoni, dettaglio degli scuri in legno, Piazza Mirabello Milano
Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Professore Ordinario in Composizione Architettonica e Urbana presso il Politecnico di Milano, cura mostre e pubblica articoli e saggi, sul progetto moderno e contemporaneo, riletto nella continuità dell’esperienza storica.
Ha pubblicato Paesaggio in Iberia e Sulla Facciata, tra architettura e città nel 2008.
La ricerca più recente si applica alla residenza urbana contemporanea europea in Housing primer, 2012, e in Housing Atlas – Europe 20th Century, 2023 e milanese in Case Milanesi 1923-1973, cinquant’anni di architettura residenziale a Milano, 2017 e Nelle case – Milan Interiors 1928-1978, 2023