Laboratorio Roma 2050: che cosa avrebbe detto Bruno Zevi
Riflessioni a margine dell’affidamento a Stefano Boeri di coordinare il Laboratorio Roma 2050
Published 7 settembre 2022 – © riproduzione riservata
L’affidamento da parte del sindaco Roberto Gualtieri a Stefano Boeri di coordinare il Laboratorio Roma 2050 ha suscitato molte polemiche e perplessità. Nessuno ha messo in discussione le competenze di Boeri sui temi della qualità urbana e ambientale e del ruolo delle città nelle politiche di adattamento al cambiamento climatico, ma molti, dall’Ordine degli architetti di Roma, all’In/Arch Lazio, a studi professionali come Labics e Nemesi, hanno rilevato la mancanza di trasparenza nell’affidare direttamente un incarico oggettivamente complesso che avrebbe avuto bisogno di maggiore preparazione, approfondimento, partecipazione.
Costruire un percorso per una metropoli difficile e unica come Roma (per la sua storia, la sua bellezza, la sua centralità simbolica e geopolitica), in grado di accompagnarla nella sua transizione ecologica verso quegli obiettivi di sostenibilità indicati dalle Agende dell’ONU e dell’Unione Europea per il 2030 e 2050, anno in cui si spera di realizzare una completa decarbonizzazione, appare fin da ora un’impresa difficile e incerta. Roma in particolare deve affrontare nel breve periodo due passaggi importanti: il Giubileo del 2025 e la candidatura all’Expo 2030.
Il Giubileo è il traguardo più immediato: le opere previste, finanziate in gran parte dal PNRR per circa 500 milioni (progetto “Caput Mundi”), possono contribuire a ridisegnare la struttura della città. Allo stato attuale non traspare tuttavia una visione d’insieme, un disegno strategico capace di legare riqualificazione urbana ed efficienza funzionale, sviluppo e inclusione, sostenibilità ambientale e cambiamento climatico.
Il percorso verso la transizione ecologica troverà nel Giubileo e nell’Expo 2030 un banco di prova estremamente impegnativo. Le condizioni di partenza sono tra le meno favorevoli: la città è priva da tempo di un indirizzo progettuale, gli ambiti di programmazione strategica, individuati dal piano approvato nel 2008, sono rimasti sulla carta; la città è bloccata nei suoi servizi essenziali, dai trasporti ai rifiuti; le reti infrastrutturali e quelle ambientali versano in condizioni di degrado e tardano a trovare una prospettiva strategica di dialogo con la città, con la sua forma e il suo clima; la sua immensa massa edilizia è lontana da un reale processo di rigenerazione ed efficientamento.
Roma ha bisogno di un Laboratorio di progettazione permanente; il 2050 non è poi così lontano e consente di misurarsi con un futuro incerto e a rischio. Ma, soprattutto, Roma ha bisogno di un’idea di città, di una visione strategica che tenga insieme temi e settori diversi: dal patrimonio monumentale al paesaggio, dal clima alla qualità ambientale, dalle reti infrastrutturali ai grandi impianti puntuali, dalle reti per la mobilità sostenibile al livello di quartiere alle grandi reti metropolitane e logistiche, dalle reti verdi e blu alla qualità e alla tenuta del suolo. La realtà diviene sempre più complessa: le problematiche urbane sono tutte interrelate, ma vengono affrontate separatamente per cui si moltiplicano le competenze, le norme e i piani di settore.
Roma ha bisogno di una visione integrata e di un programma di opere e azioni in grado di sostenere strategie urbane di medio e lungo periodo. Roma è una metropoli unica, è la capitale del nostro Paese, ma appartiene all’umanità. Sono necessarie politiche adeguate, non provinciali, ma capaci di legare il contesto locale a quello di una città-mondo.
Circa trent’anni fa Bruno Zevi proponeva al sindaco Francesco Rutelli di costituire un comitato internazionale di esperti per orientare il piano dell’area metropolitana di Roma (citava allora Oscar Niemeyer, Richard Rogers, Frank Gehry, Kiyonori Kikutake, Giancarlo De Carlo, Aldo Loris Rossi e Manfredi Nicoletti). Non fu ascoltato. Sconfortato poteva dire in seguito: “Manca una visione globale, una direttrice, un’immagine di città futura. Si procede a pezzi e bocconi, a singhiozzi, in maniera episodica, quindi caotica. Spero di sbagliare, ma temo che la giunta Rutelli, se seguita così, senza visione e immagine, senza un piano organico, con l’affanno dell’emergenza del Giubileo, porterà la capitale alla catastrofe”.
Che cosa avrebbe fatto Zevi nella situazione attuale? Probabilmente avrebbe riproposto un comitato di esperti di alto profilo internazionale. Con il rischio, ancora una volta, di non essere ascoltato.

Ha insegnato Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Pescara e ha diretto la rivista «Piano Progetto Città». È stato consulente del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e visiting professor presso la Harvard Graduate School of Design. Tra le sue pubblicazioni: L’idea di città. Teorie urbanistiche della città tradizionale (1994), Babele. La città della dispersione (2002), Le paure dell’urbanistica. Disagio e incertezza nel progetto della città contemporanea (2005), Il passo della città. Temi per la metropoli futura (2015), Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (2019), Bruno Zevi uomo di periferia (2022)