50 anni di storia dell’Istituto Nazionale di Architettura (Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 ottobre 2009): Massimo Bilò a destra e Luigi Rebecchini a sinistra

Massimo Bilò (1935-2022)

Massimo Bilò (1935-2022)

Personale ricordo dell’architetto che si è battuto per affermare la centralità del ruolo attraverso le strutture e le opere pubbliche come motore dell’innovazione e della qualità

 

Published 28 giugno 2022 – © riproduzione riservata

Massimo è stato un alto dirigente del Ministero dei Lavori pubblici. L’ho conosciuto all’inizio degli anni ottanta al Comitato per l’edilizia residenziale, era il responsabile per la sperimentazione e la ricerca. Una volta mi disse: «Io sono un Architetto di Stato». Penso che questa definizione rappresenti pienamente la sua personalità.

Massimo rivendicava con orgoglio l’importanza del ruolo dell’architetto, sempre e ovunque, ma soprattutto nell’amministrazione pubblica. Architetto di Stato significava assumere un impegno, una responsabilità nei confronti del Paese e della comunità; significava farsi carico della qualità dell’abitare; significava vigilare sull’esito degli investimenti pubblici.

Massimo credeva nella missione dell’opera pubblica come motore dell’innovazione e della qualità. Dare autorevolezza al ruolo dell’architetto significa avere competenza, cultura e schiena diritta. Massimo ha vissuto fino in fondo questa condizione: credeva nel ruolo dell’architetto e nella funzione morale ed estetica dell’architettura.

Certamente importante per la sua formazione è stato il suo lavoro presso l’Istituto per lo sviluppo dell’edilizia sociale (ISES). Avrebbe voluto che lo Stato e l’amministrazione pubblica fossero maggiormente impegnati sulla centralità dell’architettura: da qui il suo costante contributo per una legge per l’architettura e la difesa della figura dell’architetto nel processo edilizio.

Massimo come architetto si è impegnato su molti fronti, ma qui vorrei ricordare il suo rapporto con l’insegnamento universitario: un impegno costante, apprezzato e richiesto, a Roma, a Napoli, ad Ascoli Piceno, a L’Aquila, a Pescara. Massimo era molto impegnato nella didattica, nella trasmissione di un metodo di studio, nella costruzione di una teoria per il progetto di architettura. Molti suoi libri derivano dalle lezioni preparate con cura per gli studenti. Ricordando molte vivaci conversazioni con Massimo, penso a libri come Tipo e forma nell’architettura e Formatività e architettura.

Massimo amava scrivere, e non solo di architettura. Si è cimentato con un racconto poliziesco ambientato a Mandela. un piccolo centro vicino a Roma, dove Massimo e Mariella avevano una casa. Il racconto si chiama Il farmacista di Cantalupo. Cantalupo era il nome antico di Mandela. Penso che lo abbia scritto per curiosità e per dare senso alla sua permanenza in questo paese.

Dare senso alle cose era un motivo di riflessione profonda. Massimo amava la filosofia e il suo ultimo libro Uomini e manufatti lo rivela pienamente. Aveva iniziato a riflettere sull’enorme massa di oggetti e manufatti che l’umanità ha prodotto, intuendo che non possono essere intesi solo come prodotti inerti, ma materiali che hanno energia, una vita propria che incide sulla nostra, che appartengono ad una realtà in cui organico e inorganico sono intimamente connessi. È il tema che oggi attraversa il nostro rapporto con l’ecologia del pianeta. Dobbiamo rileggere questo suo ultimo lavoro.

Massimo è stato un Architetto di Stato, ne aveva la competenza, l’orgoglio, l’autorevolezza e in fondo la presenza, le phisique du role. Voglio ricordarlo così.

 

Immagine di copertina: Massimo Bilò con Luigi Rebecchini (a sinistra) il 26 ottobre 2009 all’Auditorium Parco della Musica di Roma in occasione dei 50 anni di storia dell’Istituto Nazionale di Architettura

 

 

Autore

  • Rosario Pavia

    Ha insegnato Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Pescara e ha diretto la rivista «Piano Progetto Città». È stato consulente del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e visiting professor presso la Harvard Graduate School of Design. Tra le sue pubblicazioni: L’idea di città. Teorie urbanistiche della città tradizionale (1994), Babele. La città della dispersione (2002), Le paure dell’urbanistica. Disagio e incertezza nel progetto della città contemporanea (2005), Il passo della città. Temi per la metropoli futura (2015), Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (2019), Bruno Zevi uomo di periferia (2022)

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