Il Parco Nord di Milano, esempio di piantagioni miste di tipo boschivo e di tipo paesaggistico (progettato con forme regolari)

Il PNRR e la distorta interpretazione della forestazione urbana

Il PNRR e la distorta interpretazione della forestazione urbana

Occorre cambiare alcune regole dei bandi, per passare da una visione selvicolturale a una paesaggistica

 

Published 3 aprile 2023 – © riproduzione riservata

Con la premessa che le aree verdi urbane non sono più considerate “vuoti urbani” o “non luoghi” ma aree di alta valenza urbanistica con destinazione di elevata qualificazione del territorio residenziale, di rigenerazione urbana e di qualificazione della vita sociale, l’aspettativa su questo strumento economico di sostegno al verde era elevata e ha fatto sperare che si potesse avviare un “Rinascimento verde”.

Purtroppo, a distanza di pochi anni, i risultati hanno disatteso le attese, non per un obiettivo troppo ambizioso ma per l’immaturità nella comprensione e attuazione della paesaggistica relativa al verde urbano, nonché per la mancanza di una consolidata Urban forestry come intesa in tutto il mondo. Cerchiamo di dare una spiegazione per quanto avvenuto e ancora in corso.

 

PNRR sul verde urbano di difficile applicazione

Le difficoltà di applicazione del PNRR di valorizzazione del verde urbano hanno differenti cause: distorta cultura della disciplina del verde urbano, perdita di produzione e fornitura di piante, scelta del corretto materiale arboreo e riconoscimento del giusto budget economico alle lavorazioni e al prodotto.

Il principio della forestazione urbana, o Urban forestry, è internazionalmente inteso come il riportare aree verdi nel tessuto urbano o, più in generale, nella pianificazione del territorio. Comprende realizzazioni che vanno dagli orti urbani, ai parchi di quartiere, ai grandi parchi urbani, alle aree di cintura metropolitana fino alle aree naturalistiche che legano l’esterno della città con il centro. Ma riguarda anche discipline diversificate: paesaggistica, arboricoltura, ingegneria naturalistica, verde verticale e pensile, orticoltura. Un grande contributo, dalle piccole realizzazioni alle grandi infrastrutture che rendono la città più naturale e integrata in un dialogo tra verde e costruzioni.

In Italia la forestazione urbana è invece intesa come selvicoltura urbana, ossia fare boschi e foreste con tecnica e materiale forestale: postime forestali di 20-10 cm, densità d’impianto di circa 2.000 piante per ettaro. Un bosco naturale di media età adulta, come anche un parco, ha circa 200-250 alberi per ettaro, con 50 mq coperti da una singola chioma. Perché 2.000? Perché conta la superficie di copertura a verde (canopy) e non il numero di alberi.

 

Verde urbano, ma non necessariamente bosco

Il PNRR obbliga l’adozione d’interventi selvicolturali: il verde urbano dev’essere bosco. Questa distorta interpretazione, fortunatamente non assoluta, adottata dalla maggior parte degli enti pubblici e dai ministeri, ha indotto per decenni a rivolgersi agli enti forestali per la fornitura del materiale vegetale, consolidando il binomio verde urbano-selvicoltura e provocando dagli anni 2000 in poi una caduta drastica della domanda di alberi già formati ai vivai italiani.

La produzione si è conservata in parte per giardini, parchi e filari alberati pubblici e privati, pensati da menti più sagge, ma ha causato la scomparsa di moltissimi vivai di produzione di piante arboree e arbustive. Gran parte dei sopravvissuti lo ha fatto esportando sul mercato europeo il 90% della produzione di alberi, con grande riconoscimento della qualità, dirottandoli da un mercato interno che, incapace di programmare piantagioni e forniture, ha tuttavia aumentato la richiesta.

 

Bandi e piani forestali da rivedere

Le risposte delle città metropolitane al bando di valorizzazione del verde urbano sono state diverse ma non finanziabili. Alcune hanno detto di non avere aree (la richiesta era di destinare a verde superfici estensive), altre di non trovare alberi (e hanno proposto di usare semi rimandando gli alberi di 10-15 anni), altre ancora di avere aree ma volere realizzare un parco con piante di 4-5 metri di altezza (non consentiti) e non 30-40 cm perché non avevano intenzione di fare piantagioni in città di vivai di coltivazione con le postime forestali, con un debito di 7 anni di coltivazione senza avere un parco. Il bando prevede la piantagione in aree dismesse, di rigenerazione urbana, ex aree industriali e commerciali, ex aree di cava e degradate, tutte non idonee per piantine forestali da coltivare per 7 anni.

Lo scenario che si prospetta necessita del cambio di alcune regole del gioco, non leggi ma semplici linee guida forestali. Bisogna passare da una visione forestale a una paesaggistica, scegliendo la pianta giusta al posto giusto, in riferimento alla tipologia dimensionale più che alla specie. Per i parchi piante da parco e per le aree forestali piante forestali. Sia per aree grandi che di piccole dimensioni in centro città. Mentre per gestire la disponibilità delle piante è necessaria una strategia nazionale per l’incremento della produzione arborea, sia privata che pubblica. Il nuovo Piano forestale è debole su vivaistica e riproduzione di materiale vegetale.

 

Alberi: meno sono, meglio crescono

Infine, una pianificazione fatta sulle superfici: sarebbe utile passare dal numero di alberi (6,6 milioni) alle migliaia di mq di verde, tra parchi e aree di medie e piccole dimensioni, necessarie alla realizzazione di reti ecosistemiche urbane. Meglio meno alberi, ma maturi e duraturi che milioni di alberi piccoli, fitti e da diradare.

Che gli alberi siano i principali alleati dell’uomo nella formazione delle nuove città verdi, nel contrasto ai cambiamenti climatici e nella lotta all’inquinamento è indubbio. E le fonti d’ispirazione non mancano, tra le Linee guida ministeriali (redatte dal Comitato nazionale per lo sviluppo del verde urbano del Ministero dell’Ambiente nel 2017) e la Strategia nazionale del verde (2018).

Anche le pianificazioni locali si sono rivelate particolarmente sensibili all’incremento del “bilancio arboreo” (previsto dalla Legge 10/2013) e nei piani di adattamento ai cambiamenti climatici (i Piani di azione per l’energia sostenibile e il clima, PAESC) o, ancora più nello specifico, nei piani del verde, l’albero in quanto tale è sempre al centro delle strategie di sviluppo.

Siamo ancora in tempo a salvare il PNRR e utilizzare le risorse stanziate, ma non ancora impiegate, per la formazione di verde urbano cambiando poche regole e adottando criteri internazionali di paesaggistica urbana e non di selvicoltura ove non necessario.

Autore

  • Angelo Vavassori

    Agronomo e paesaggista, lavora in Italia e Paesi dell’Est per la progettazione del verde urbano e forestale, nella redazione di Project management del verde urbano. Collabora fin dalla fondazione con la rivista "Acer" ove pubblica articoli di gestione del verde urbano e vivaistica. Già docente alle Facoltà di Agraria all’Università di Milano e Torino, di verde verticale, progettazione aree verdi e vivaistica. Tra i fondatori di ISA (Società Italiana di arboricoltura). Membro di commissioni del Paesaggio e del Consiglio regionale INU Lombardia. Pubblicazioni: Millepiante Tekno, I Giardini nel Paesaggio, Manuale del verde in Architettura.

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