Franco Zagari (1945-2023)

Franco Zagari (1945-2023)

Ricordo intimo dell’architetto paesaggista, docente e divulgatore

 

Published 3 luglio 2023 – © riproduzione riservata

Caro Franco, ho avuto la fortuna di conoscerti negli anni ottanta, tornando da Barcellona. Era l’epoca in cui stavi registrando i tuoi meravigliosi documentari per la RAI sui giardini e gli interventi di paesaggio nel mondo. In quegli anni in Italia e a Roma non si parlava di paesaggio e di riqualificazione degli spazi urbani, mentre a Barcellona politici, architetti e cittadini discutevano della riprogettazione dello spazio pubblico per rigenerare la città.

I tuoi documentari e il tuo libro hanno illustrato al Paese quanto si stava facendo nel mondo e quanto questa disciplina potesse trasformare i luoghi, migliorando la qualità della vita. Sei stato determinante, favorendo una presa di coscienza da parte dei politici sensibili e nell’opinione pubblica attenta. Con i tuoi progetti e le numerose occasioni d’incontro da te volute – internazionali e nazionali – (occorre ricordare i celebri lunedì dell’IN/ARCH), i corsi e i viaggi hai contribuito ad avviare un dibattito internazionale sul paesaggio anche in Italia.

È difficile in questo breve testo rievocare i tanti momenti salienti di una meticolosa, metodica e lucida strategia culturale che hai praticato per favorire l’attenzione culturale e accademica verso l’architettura del paesaggio. Ho, abbiamo, avuto l’onore e il piacere di nominarti socio onorario AIAPP e, in questi anni, molti soci si sono affidati ai tuoi scritti e ai tuoi insegnamenti illuminati.

Nel terribile periodo pandemico hai scritto per AIAPP, proprio nelle pagine di questo Giornale: “Oggi voi mi chiedete delle tendenze che potrebbero affermarsi nella concezione del verde, in particolare nello spazio pubblico. Rispondo con una dichiarazione di umiltà: non ne ho idea, anzi non voglio averla, perché questo è un testo di civiltà che dobbiamo scrivere tutti insieme. Immagino tuttavia che sia molto importante cominciare a cercare di spiegare alla gente, e a noi stessi, che cosa sia il paesaggio e perché potrebbe essere una delle risorse più promettenti che la nostra civiltà ci possa offrire come opzione non solo culturale, non solo economica e sociale, ma politica”.

Infine, credo giusto condividere con i lettori di questa pagina il messaggio che avevi chiesto di leggere nel 2019 in un’assemblea AIAPP: testo combattivo, espresso con gentilezza e fermezza.

Il problema del paesaggio? Semplice. È una delle cause, e non certo veniale, della crisi economica e finanziaria del nostro come di tanti paesi europei e del declino del sentimento di appartenenza e di orgoglio, dovuta a una diffusa abitudine alla sottrazione e omissione di atti d’ufficio, a un perseverante abuso di potere, a uno sperpero della ricchezza pubblica morale e materiale, per non parlare di ogni forma di abuso pubblico e privato. Per fortuna che buone maniere e una educazione culturale appena decente suggeriscono ancora di dedicare una certa attenzione al paesaggio e ai nostri nobili principi, come l’articolo 9 della Costituzione della Repubblica Italiana, la Convenzione Europea del Paesaggio e l’Enciclica Laudato sì, un’eredità morale che ha promosso un terreno privilegiato di ricerca ma che ora sembra caduta in una situazione di stallo e di assoluta mancanza di incisività.
Notoriamente polisemico, il paesaggio è un argomento aperto a discipline e esperienze molto diverse che sono interessanti in sé, ma forse soprattutto per le interferenze e le ibridazioni di approcci diversi che appartengono a varie branche del sapere artistico e scientifico. Qui vorremmo interessarci soprattutto della sua definizione in quanto soggetto e oggetto del progetto di un habitat che ha molte punte di eccellenza, con azioni che riguardano la tutela, la gestione, la valorizzazione e l’invenzione del patrimonio storico e naturalistico, il rispetto, l’ascolto, la difesa e il rilancio di un aspetto ancora virtuoso di un mondo che va via via attenuandosi, per una forte carenza espressiva che avanza nel cosiddetto medio ambiente, le conurbazioni in perenne crescita dalla ricostruzione postbellica ad oggi. Sul campo vi è una diffusa consapevolezza di associazioni e cittadini ma la politica rimane arroccata tenendosi sempre a debita distanza, con vecchie parole d’ordine, evitando la sfida di fare un volano delle nostre risorse materiali e intellettuali, attività flussi e comportamenti che potrebbero, ancora di più di quanto già oggi non già facciano, esercitare un effetto di emulazione e di trascinamento, liberando una energia formidabile che è in sonno.
Nessuno sforzo di fantasia è stato fatto per reinventare il mestiere, portarlo nel cuore della gente, per ridisegnare e riscrivere un destino che potrebbe aprire nuove frontiere. Il progetto di paesaggio dovrebbe introdurre dei principi di orientamento in una realtà che da complessa è diventata complicata e satura, il suo compito è quindi non dissimile da quello del filo di Arianna e di Teseo, e parimenti stabilire delle nuove qualità di centralità che valorizzino una strategia di rete equipotenziale, non essendoci più alcuna logica nella dialettica fra centro e periferia nell’evoluzione del territorio.
Dobbiamo essere molto chiari negli obiettivi. Sistole e diastole, come un cuore: nessuna esitazione ad agire. Un insuccesso è imperdonabile, i paesaggisti sono già pronti a un’inversione di rotta, hanno argomenti, competenze, metodo e mezzi e tutto l’entusiasmo per dare un contributo fondamentale al superamento di una condizione che se non curata può diventare irreversibile.
Due valori devono ancora essere pronunciati e spesi con tutta la loro forza, parlando al Paese: la bellezza e la dignità del lavoro parti essenziali e fra loro indistinguibili del codice genetico della cultura europea contemporanea, basate sulla continuità di un equilibrio che nel paesaggio c’è sempre stato fra la consapevolezza della storia e la visione del futuro, e la continuità di uno spirito di accoglienza e di acclimatazione che ha fatto sempre del regno del giardino un’oasi di civiltà.
Stiamo parlando della città del terzo millennio, di un progetto in progress che saranno inostri figli a decidere. La parola dunque ai progetti che, se non saranno giovani, non saranno
”.

Grazie Franco per l’apporto che hai dato alla disciplina nel nostro Paese. Grazie per averci spronato, e continuerai a farlo, per perseguire “la bellezza e la dignità del lavoro” con la “consapevolezza della storia e la visione del futuro.”

 

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