Recupero dei sanatori lombardi, qualcosa si muove
I complessi sono molti e versano in condizioni diverse, come molte sono le strade possibili dopo la dismissione
Published 14 novembre 2022 – © riproduzione riservata
Innanzitutto alcuni cenni storici. Nati in Italia ai primi del Novecento, gli ex sanatori erano ospedali specializzati per la cura della tubercolosi durante la seconda rivoluzione industriale (mortalità annua a inizio Novecento: 50-55.000 morti). Grazie alla fama dei sanatori stranieri, sorti nella seconda metà dell’Ottocento in Europa e studiati da alcuni medici lombardi, quelli italiani basavano la loro cura su isolamento, elementi di climatoterapia alpestre (aria buona, luce solare) e cucina abbondante.
Un patrimonio unico
In Italia, riferendoci sempre ai primi del Novecento, si tratta di un patrimonio nato principalmente dall’iniziativa privata, che comprende edifici dalle linee Liberty, eclettiche e storicistiche, con una tipologia alpestre o urbana, a seconda della localizzazione. Esempi più noti, frutto di una riuscita integrazione tra sanità e architettura, sono il primo sanatorio italiano, il Pineta di Sortenna a Sondalo (Sondrio, Alta Valtellina) e il sanatorio popolare Umberto I, realizzato dall’Opera Pia sanatori popolari di Milano a Prasomaso (Sondrio, Alta Valtellina), e il sanatorio di mezza montagna a Cuasso al Monte, in Val Ceresio (Varese).
Negli anni venti e trenta, quando la lotta alla tubercolosi diventa parte della politica sociale del governo fascista che sancisce l’obbligatorietà dell’assicurazione contro la malattia, viene realizzata una rete nazionale secondo un modello tipologico innovativo e riproducibile. Il grandioso villaggio sanatoriale realizzato a Sondalo ne è l’esempio più rinomato. Significativo è il fatto che in epoca recente proprio lì sia nato un museo, unico esempio in Italia, ove, grazie a una ricostruzione della storia del complesso e ad alcuni riferimenti alla rete sanatoriale nazionale, si desumono alcuni aspetti ricorrenti di queste strutture: l’isolamento, l’eccellenza della progettazione architettonica e del verde, il fatto che costituiscono l’identità territoriale dei luoghi, la forte connotazione paesaggistica.
Ma cosa è rimasto della rete di queste strutture sul territorio lombardo? Dismessi dagli anni sessanta agli anni settanta, con l’affievolirsi della malattia, versano in stato di degrado e abbandono, oppure sono stati riconvertiti ad altre funzioni o, infine, in ospedali generici.
I casi di riconversione
Accanto ai casi di scandaloso abbandono (come nell’imponente complesso di Prasomaso, oggi in rovina), ci sono i casi di riconversione. E, se per le piccole strutture, la più fisiologica è quella a uso sociale, assistenziale e ricettivo, come per i tre rinomati sanatori alpini privati della conca della Pineta di Sortenna, o per l’ex sanatorio Regina Elena di Legnano (Milano), per i grandi complessi la riconversione in ospedali generici risulta più facile. Questo il destino del villagio sanatoriale di Sondalo, dell’ex sanatorio di mezza montagna a Cuasso al Monte e, in pianura, dell’ospedale Luigi Sacco a Milano, noto sino al dopoguerra come sanatorio di Vialba, o dell’ex sanatorio Vittorio Emanuele III di Garbagnate Milanese.
In particolare una buona notizia viene dal sanatorio di Cuasso al Monte, dalla storia prestigiosa e realizzato dalla Croce rossa di Milano agli inizi del secolo scorso, adattando un convento del Seicento dei monaci cenobiti che scelsero questo luogo, denominato “deserto”, per costruire l’edificio. Risorgerà, con finanziamenti già individuati, come polo universitario di riferimento per tutta la regione in ambito pneumologico; un caso d’investimento pubblico su un sito storico, immerso in un parco di 138 ettari.
Così, tra mille dibattiti, qualcosa comincia a muoversi attorno al problema del riutilizzo di un patrimonio consistente, che ha dismesso la sua funzione ormai da mezzo secolo ma i cui aspetti architettonici, urbanistici e paesistici, frutto di progetti spesso di grande qualità, hanno contribuito a farne dei luoghi d’interesse.
Immagine di copertina: © Museo dei Sanatori di Sondalo
Laureata a Firenze nel 1985, si è sempre occupata di urbanistica, pianificazione territoriale e pianificazione paesaggistica, collaborando, come libero professionista, alla stesura di strumenti comunali e regionali a Firenze e Milano. Dal 1992 è dipendente di Regione Lombardia presso l’Assessorato al Territorio. Negli ultimi anni ha svolto attività di coordinamento disciplinare in tema di rigenerazione urbana sui tavoli territoriali promossi dalla Direzione generale. Dal 2020 è passata alla Direzione generale Università ricerca e innovazione occupandosi di fondi strutturali europei sui temi dello sviluppo urbano e delle aree interne.
Ha collaborato con l’INU, il Politecnico, l’Ordine degli Architetti di Milano e i vari soggetti del sistema
regionale allargato sui temi territoriali.