Verde: dagli spazi pubblici agli spazi privati
La funzione del verde costruito quale elemento dei servizi ecosistemici può determinare un nuovo patto tra città e territorio
Published 31 maggio 2021 – © riproduzione riservata
Il dibattito riguardante il bilanciamento tra verde pubblico e verde privato ha accompagnato molti mutamenti relativi ai territori costruiti e alla percezione che le comunità hanno del proprio spazio vitale. Le condizioni di partenza possono essere molto differenti, così come il disegno storico delle città e la loro relazione con il territorio circostante. Le difficoltà di coniugare efficacia ecologica e pregio paesaggistico, garantendo standard accettabili con risorse economiche modeste, sono tuttavia il tratto comune di tutti i poli urbani.
Uno degli aspetti più critici, tuttavia, riguarda la difficoltà di coordinare azioni coerenti tra spazi pubblici e privati, poiché in questi ultimi raramente si adottano modalità di realizzazione e gestione che tengano conto del loro valore anche nella dimensione collettiva ovvero di contributo alla vivibilità della città ed all’integrazione con i sistemi (naturali o meno) al contorno.
In un numero relativamente ridotto di città esiste un Piano del Verde, un percorso di pianificazione con approfondite fasi analitiche di conoscenza delle componenti territoriali e la partecipazione attiva dei cittadini (che dovrebbe essere sempre un valore aggiunto) allo scopo di progettare funzioni e destinazioni delle aree in relazione ai bisogni della comunità.
Benefici del verde: una difficile monetizzazione
Oggi il benessere fisico e psicologico è sempre più connesso alla qualità dell’ambiente di vita, concetto scontato ma esaltato dalla crisi sanitaria e politica. Nella maggior parte dei casi ci si limita a forme regolamentari, a orientamenti degli organismi di controllo o, addirittura, della magistratura laddove sono carenti strumenti organici di programmazione in grado di dialogare con gli strumenti della pianificazione locale e con quella sovraordinata spesso decisiva nel reale destino di spazi e funzioni. E qui sta il nodo storico della questione: i benefici del verde (estetici, microclimatici, di fruizione attiva, biodiversità, contenimento dell’inquinamento e molti altri) sono economicamente riferibili a una pluralità di persone e dilazionati nel tempo ma difficilmente monetizzabili mentre i costi di gestione sono immediati e tangibili e di rado oggetto di consenso.
Di servizi ecosistemici si parla in realtà da molti anni (Millenium Ecosystem Assessment MeA, 2005, sotto egida ONU) ma la loro formalizzazione nelle prassi di programmazione e gestione dello spazio pubblico è molto più recente. In Italia il tema ha avuto nuovo impulso in occasione della Strategia Nazionale sulla Biodiversità. Il tema s’intreccia con quelli relativi alle reti ecologiche e alle infrastrutture verdi. Inutile rammentare che questi approcci hanno definitivamente pensionato anche la tradizionale divisione tra verde pubblico e verde privato ormai assai poco produttiva ed anzi, controproducente perché troppo spesso assolutoria per la responsabilità civica soggetti interessati.
In alcune regioni italiane ci sono state revisioni degli standard urbanistici che in taluni casi prendono in considerazione elementi diversi da quelli classici (risalenti alla fine degli anni sessanta) anche a distanza dal luogo della trasformazione ma ancora con limitata capacità di cogliere l‘ integrazione tra trasformazioni urbane e ambiente.
Il necessario nuovo dialogo tra economia ed ecologia
Economia ed ecologia (che condividono la radice comune “oikos” = “casa” a dimostrazione che non stiamo scoprendo nulla di filosoficamente innovativo) per troppo tempo hanno seguito percorsi parzialmente contrapposti che hanno dato vita a schieramenti politici pressoché inconciliabili. Un nuovo dialogo è possibile a partire dalla condivisione di metodologie di studio e linguaggi ricordando che sia economisti ambientali che ecologi oggi riconoscono nell’ecosistema l’unità di studio appropriata. È evidente che il livello di organizzazione molto complesso richiede approcci di pari livello ma questa è probabilmente la via maestra. A partire dai primi anni del nuovo secolo è stato detto tutto su percorsi di conoscenza, valutazione e partecipazione. Ora si tratta di scendere sul campo d’azione e predisporre strumenti adeguati.
Per l’Architettura del Paesaggio l’occasione è molto importante per rilanciare una visione di città e del territorio finalmente integrata e multifunzionale dove il termine “servizio ecosistemico” non si limita a una lettura finanziaria, tariffaria e compensativa, ma di reale sinergia tra la produzione del servizio e la sua fruizione a cui deve corrispondere una restituzione sotto forma di benefici indiretti (mobilità, istruzione, attività essenziali) mediati da una comunità di tecnici e studiosi in cui prevalga un pensiero orizzontale e di altro profilo civico e scientifico.
Dottore Agronomo, presidente dell’Ordine dei dottori Agronomi e dottori Forestali della Liguria, si è formato presso le Università di Genova e Trento. Lavora da tempo sui temi delle relazioni tra aree interne e città con particolare riferimento alle vallate urbane, all’evoluzione dei territori rurali, ai siti produttivi marginali. Socio AIAPP, INU, SdT è stato docente al Politecnico di Torino ed all’Università di Genova sui temi legati alla pianificazione paesaggistica ed ambientale e dei parchi naturali. Già direttore ed amministratore di Parchi Regionali collabora oggi con diversi gruppi di ricerca e svolge attività professionale nella riqualificazione paesaggistica di aree degradate urbane e extraurbane.