Next Generation EU: dobbiamo cambiare passo
La base del Piano nazionale di ripresa e resilienza deve essere un approccio paesaggistico e integrato che garantisca una transizione energetica e un risparmio delle risorse in accordo con i processi naturali, culturali ed economici
Published 23 febbraio 2021 – © riproduzione riservata
Se le parole sono importanti, siamo partiti malissimo: l’Europa lo chiama Next Generation EU (NG-EU) e l’Italia Recovery Fund. Nella semplificazione italiana pare già esserci un destino: invece di pensare al futuro pensiamo al recupero? NG-EU significa pensare alle prossime generazioni, al vero futuro del pianeta, a un modo completamente opposto d’intenderne la gestione nei prossimi decenni. Chiamarlo Recovery Fund è invece volgere lo sguardo al solito trito passato, aprire vecchi e impolverati cassetti ed estrarne eliografie ingiallite con quadri economici espressi in lire, da convertire in euro. Già immaginiamo l’espressione di Ursula von der Leyen nel trovare un elenco di progetti riesumati, già discutibili 20 anni fa, a raccontare il futuro dell’Italia in Europa?
Occorre cambiare mentalità, passo, obiettivi e soprattutto cultura. Ci riusciremo da qui ad aprile 2021, scadenza della presentazione all’Europa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)? “L’obiettivo è un’Europa più verde, digitale e resiliente”, e a luglio 2020 l’Europa avvia il NG-EU, scatta la corsa alla predisposizione dei piani: France Relance verrà presentato il 3 settembre 2020. E noi?
Troppo veloci i francesi? O forse hanno una pianificazione costante che consente di essere pronti a consegnare centinaia di schede dettagliatissime e precisamente localizzate, dove tra gli indicatori di successo abbiamo il numero di siti recuperati, i posti di lavoro per farlo e quelli a regime, le superfici in trasformazione, la densificazione e il rinnovamento urbano per numero di unità abitative innovative e a basso consumo di risorse, per non parlare delle altre misure come le politiche sul lavoro e la formazione dei giovani? Il nostro piano, per ora, è fatto di principi, di titoli, di parole e di buoni propositi…
Ma i tempi del NG-EU saranno rapidi: entro il 2023 i soldi dovranno essere spesi, con un minimo del 30% destinato all’economia verde, alla lotta ai cambiamenti climatici – il Green Deal europeo. Come conciliare questi tempi con un Paese che ha una media di 10-12 mesi per appaltare una gara pubblica, sempre che non ci siano ricorsi? Come immaginare che chi si occupa di economia verde non venga visto ancora come un eccentrico sognatore ma come un pratico e indispensabile elemento di un futuro possibile e indifferibile? Come preparare una società legata a vecchi modelli e poco aperta all’innovazione a immaginare alberi ogni 4 posti auto, o giardini della pioggia di erbe ornamentali a bassa manutenzione che raccolgano e smaltiscano le acque al posto di tubi in polietilene che scaricano nei corsi d’acqua alimentando ulteriormente le esondazioni dei fiumi durante le alluvioni? 36 mesi ci basteranno?
L’architettura e l’architettura del paesaggio, con tutti i legami e le relazioni che rappresentano, dovrebbero essere al centro del PNRR, mettendo finalmente in pratica le Nature Based Solutions (NBS), soluzioni tecnologiche basate sulla natura.
AIAPP (organo italiano di IFLA Europe – International Federation of Landscape Architects) chiede che alla base del PNRR ci sia un approccio paesaggistico e integrato, che preveda una transizione energetica e di risparmio delle risorse integrata con i processi naturali, ma anche culturali ed economici, tale da mettere in rete le diverse anime dei processi, con un effetto moltiplicatore dei risultati ed una efficace replicabilità, da sempre punto fondamentale dei progetti europei.
L’integrazione delle tecnologie verdi con l’architettura dovrebbe ormai essere prassi, le infrastrutture verdi dovrebbero sostituire completamente quelle grigie, guardando a virtuosi esempi europei già attuati da decenni: dalle pavimentazioni drenanti ai rain garden, dal recupero e riutilizzo delle acque meteoriche alla riciclabilità e sostenibilità nella produzione dei materiali, da utilizzare e riutilizzare sotto varie forme, dalla riduzione delle temperature al suolo ai benefici degli alberi in città, dalla mobilità sostenibile ed efficiente allo spazio pubblico versatile ed adattabile alle esigenze, al clima, alle sue trasformazioni repentine con la stessa capacità di reagire ed essere sempre utilizzabile per il benessere delle persone, ogni giorno del prossimo futuro.
Architetta e architetta del paesaggio, lavora in studi di architettura in Olanda e Barcellona, quindi a Torino in studi privati e presso il Comune. Dai programmi di recupero urbano alle riqualificazioni di aree industriali dismesse, a Torino si occupa di progettazione di parchi pubblici, giardini e piazze, aree gioco ed edifici per servizi, dal primo edificio pubblico con tetto verde (“La casa nel parco”), al primo sostenibile con Protocollo Itaca (ludoteca “Il paguro”), accanto a concorsi di progettazione nazionali e internazionali. Tra le realizzazioni, il parco Colonnetti nord, gli spazi pubblici del quartiere di via Artom ed il parco Pietro Mennea e i progetti europei NBS (in corso). Tra i riconoscimenti, il Premio internazionale Dedalo Minosse (2014), la menzione alla Biennale dello spazio pubblico (2011), il Premio Città per il verde (2009 e 2010). È socia AIAPP e socia fondatrice di Open House Torino