Ripensare la fabbrica Olivetti a Scarmagno: grande occasione, grande responsabilità
Come si porrà la nuova gigafactory di Carlstrom firmata Pininfarina nei confronti dello straordinario impianto plasmato a suo tempo da Zanuso e Vittoria?
Published 16 dicembre 2021 – © riproduzione riservata
“[…] il grosso impianto a Scarmagno, che doveva essere una grossa macchina produttiva all’americana, per intenderci, che avrebbe dovuto concentrare questo nuovo polo – sulla base di uno studio urbanistico di Roberto Guiducci – da affiancare al polo di Ivrea per ribilanciare tutta la struttura produttiva del Canavese, come sdoppiamento dell’attività agricola pedemontana. Cosa era successo? La lettera di incarico di questo nuovo progetto mi pare sia stata l’ultima disposizione firmata da Adriano Olivetti prima di partire per il viaggio da cui non ritornò”. Così – in Le battaglie per il moderno di Enrico Valeriani – Marco Zanuso descrive l’inizio della collaborazione con Eduardo Vittoria. Collaborazione tra due amici che si stavano entrambi facendo le “ossa olivettiane” realizzando l’uno le fabbriche in Argentina e Brasile e l’altro il Centro studi a Ivrea.
Dopo più di un ventennio dalla totale dismissione della storica fabbrica che ha prodotto l’M24 (il personal computer di maggior successo della Olivetti), si scorge all’orizzonte un ambizioso progetto, dell’imprenditore svedese Lars Carlstrom e dal nome Italvolt, per quella che sarà la prima gigafactory in Italia e la più grande d’Europa.
Il complesso industriale di Scarmagno – il più imponente intervento industriale a scala territoriale dell’azienda Olivetti, progettato nel pieno boom economico degli anni sessanta – è l’ultimo progetto voluto da Adriano. L’incarico è affidato a Zanuso e Vittoria, e si pone in continuità con i già realizzati progetti di Zanuso per l’Argentina e il Brasile. Il gruppo di lavoro è completato dai nomi di Roberto Guiducci con la società Tekne per la programmazione e direzione lavori, e di Antonio Migliasso con la società Sertec per il progetto strutturale e la realizzazione delle prefabbricazioni leggere.
L’impianto di Scarmagno rappresenta l’esempio, forse unico, di come sia possibile realizzare edifici funzionali, di costo contenuto ma a forte innovazione tecnologica, in cui il problema della presenza degli impianti è risolto integrandoli al disegno della struttura, e si perfeziona attraverso l’interpretazione in chiave d’industrializzazione edilizia, rappresentando la sperimentazione più attenta della prefabbricazione di quegli anni. Non si trattava solo di ottimizzare gli elementi portanti di cui oggi si apprezzano le qualità scultoree, ma di controllare le interazioni tra funzioni e componenti, in quella che lo stesso Zanuso definisce progettazione integrata. La collaborazione con Vittoria determina la possibilità di condurre sul piano della prefabbricazione la realizzazione degli stabilimenti industriali, attraverso un modulo riproducibile ma al contempo variabile nei dettagli e nelle necessità dello specifico caso costruttivo.
Il “modulo misura” viene sostituito dal “modulo oggetto”, unità elementare plasticamente determinata in grado di definire uno scenario architettonico industriale e di risolvere al contempo le esigenze funzionali, formali, produttive ed economiche. Ad accentuarne l’intellegibilità, il modulo viene ripetuto, accoppiato, moltiplicato e, tutt’intorno, il paesaggio rimane al di fuori di qualsiasi schema, a riconoscere l’importanza della natura. Una “architettura urbana” in cui costruito e natura si fondono in un continuum attraverso il pilastro e le testate della trave principale che sporgono dalla facciata (risultando quest’ultima arretrata), a generare una forte “interpenetrazione” tra l’interno degli spazi di lavoro e il loro ricongiungimento con il paesaggio esterno.
Si tratta dunque di un complesso architettonico in grado di creare nuovi paesaggi attraverso “un’espressività architettonica in funzione urbanistica”, ponendosi come landscape a diversi piani di profondità e generando viste sempre diverse. Il valore è oltre l’architettura, e l’espressività architettonica opera in coordinamento e sottomissione di una forma ad un’altra e di questa alla natura.
Il complesso di Scarmagno pone la questione della riqualificazione in termini di una grande sfida, aggiungendo una notevole responsabilità all’azione progettuale che s’intraprenderà. L’auspicio è che la Divisione di Architettura dello studio Pininfarina, incaricato della rifunzionalizzazione, operi nella direzione di mantenere gli aspetti valoriali del bene, anche nelle sue componenti paesaggistiche. Una grande occasione, una grande responsabilità.
Zanuso M., Vittoria E., Paesaggio, architettura e design, in “Notizie Olivetti”, n. 76 (1962), pp. 61-68
Dorfles G., Marco Zanuso designer, Editalia, Roma 1971
Migliasso A., Scomparin C., Tre stabilimenti Olivetti con struttura prefabbricata in cemento armato, in “L’industria italiana del cemento”, n. 7 (1972), pp. 495-520
De Giorgi M. (a cura di), Marco Zanuso architetto, Skira, Milano 1999
Grignolo R. (a cura di), Marco Zanuso. Scritti sulle tecniche di produzione e di progetto, Mendrisio Academy Press e Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2013
Crespi L., Tedeschi L., Viati Navone A. (a cura di), Marco Zanuso. Architettura e design, Officina libraria, Milano 2020
Giuliana Di Mari è architetta, dottoranda in Ingegneria Civile e Ambientale presso il Politecnico di Torino, e in Teoria e História da Arquitetura e do Urbanismo presso l’Instituto de Arquitetura e Urbanismo – USP di São Carlos. Ha lavorato come assegnista di ricerca presso il Politecnico di Torino (2019). È stata assistente al progetto europeo “MoMoWo – Women’s creativity since the Modern Movement” ed è membro di AIDIA. Gli interessi di ricerca includono la storia della costruzione del XX secolo, la conservazione e il restauro del patrimonio architettonico del Movimento Moderno e gli studi di genere in architettura e ingegneria.
Caterina Franchini, esperta di storia delle costruzioni, è abilitata al ruolo di professore associato in Architettura tecnica dal 2017. Laureata in Architettura, è dottore di ricerca in Storia e critica dei beni architettonici e ambientali (2003) e specialista in Conservation of Historic Towns and Buildings in Belgio. È docente presso l’University Studies Abroad Consortium (University of Nevada-Reno) nelle aree del design e dell’architettura. Svolge attività didattica presso il Politecnico di Torino dove è stata ricercatrice, iniziatrice e coordinatrice internazionale del progetto “MoMoWo — Women’s Creativity since the Modern Movement” (2014–18). Membro del Consiglio direttivo di DOCOMOMO Italia dal 2014, i suoi principali filoni di ricerca vertono sul patrimonio costruito del XX secolo, sulla conservazione e riuso, con particolare riferimento al Movimento Moderno in architettura e design, anche in una prospettiva di genere. Curatrice di mostre, relatrice a convegni nazionali e internazionali, è autrice di numerose pubblicazioni.
Emilia Garda è architetta, professore associato in Architettura tecnica presso il Politecnico di Torino, abilitata come professore ordinario in Design e Progettazione tecnologica dell’Architettura, membro del Collegio di Dottorato in Ingegneria Edile-Architettura e Urbanistica della Sapienza Università di Roma. É stata la project leader del progetto europeo “MoMoWo – Women’s creativity since the Modern Movement”, è coordinatrice di DOCOMOMO Italia (Sezione Piemonte) e presidente della sezione di Torino di AIDIA. Autrice di oltre 200 pubblicazioni, i principali interessi di ricerca comprendono la storia delle costruzioni del XX secolo, la conservazione e il restauro del patrimonio architettonico del Movimento Moderno e gli studi di genere nel campo dell’architettura, ingegneria e design.