Verso la città che respira

Verso la città che respira

 

Siamo parte dell’intelligenza della natura, elemento di conciliazione tra l’uomo e il suo habitat

 

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Il Covid-19 è una metafora che dovrebbe farci riflettere sul grande inganno che ci stiamo rivolgendo. La pandemia è una rappresentazione tragica di quanto stava già avvenendo nel mondo, la visualizzazione di un’era antropocenica che rivela le fondazioni esistenziali della fragilità umana che non abbiamo voluto sentire. Eppure i segnali erano chiari, ma le criticità da inquinamento e la distruzione d’interi sistemi ambientali non ci hanno fatto desistere da abitudini che andavano nella direzione opposta al benessere del pianeta, cioè il nostro. Anche l’appello espresso dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 non ha ancora influito significativamente sull’intraprendere stili di vita più consapevoli. Sarà per coincidenza, ma è proprio nel 2020, anno in cui si sarebbero dovuti contare i primi effetti positivi, che tutto s’inceppa e il mondo non respira più. Quale lezione apprenderemo?

Dopo quasi due mesi di attonito lockdown, siamo pronti alla fase 2, il ritorno alla normalità. Ma ripartire verso il futuro non significa solo raggiungere la normalità, termine che potremmo sinteticamente riassumere nel binomio “benessere e libertà”. D’accordo sul fatto che si rendono necessarie azioni urgenti per affrontare l’emergenza, ma è altresì d’importanza vitale pensare a come fare oltre il Covid-19. La fase 2 è in realtà iniziata già nel momento in cui ci siamo chiusi in casa, ora è tempo della Fase X, che dovrà stanarci da un’impasse che stiamo vivendo da troppo tempo e che non è propriamente figlia di questa pandemia. Per determinare le condizioni del respirare si deve agire a beneficio di e con la natura: terra, acqua, animali e piante sono nostri coinquilini, e la nostra condizione di vita dipende anche da loro. L’ecologia non è un’idea che aumenta l’attenzione solamente verso l’ambiente: si tratta di un comportamento culturale e politico determinato dalla consapevolezza che la natura è l’elemento di conciliazione tra l’uomo e il suo habitat. Per cambiare le cose dovremo quindi cambiare noi stessi: siamo parte dell’intelligenza della natura, recuperiamo i badili, piantiamoli nella terra e impariamo a respirare.

La soluzione ci verrà data dalla città fisica intesa come città sociale, e la codificazione di uno statuto del suolo e dell’aria, come patto incondizionato tra le parti in cui siano contenuti gli indicatori chiave per lo sviluppo della comunità “sinergiva” (sinergica e attiva), ci permetterà di affrontare i continui mutamenti. La città, come organismo complesso ed espressione di transitorietà per eccellenza, è il luogo di costruzione delle coscienze e rifugio felice degli esseri viventi. La prima cosa da costruire è la fiducia. Per ridisegnare la fiducia che ci darà respiro, dovremo considerare: la natura come principio di sviluppo, le infrastrutture come indicatore di civiltà, la mobilità lenta come atto di libertà, l’abitare come spazio d’interesse pubblico, la flessibilità come trasformazione positiva, la convinzione che la riabilitazione del bene comune (edifici e paesaggi) sia un atto di coraggio nel riconoscere un insieme inscindibile che abbiamo a disposizione e di cui dovremo avere cura come di noi stessi.

L’integrazione tra architettura e persone è prioritaria, come il piantare gli alberi quali nostri polmoni ausiliari. La città si racconta nello spazio che travalica il concetto di pubblico/privato, e la prima rete su cui investire è quella costituita da scuole-parchi-strade-piazze e il sistema di relazioni tangibili e intangibili dello spazio pubblico, per ritrovare nuovi orizzonti di senso, poiché l’uomo, come sosteneva Pascal, è la canna più fragile di tutta la natura, ma è una canna pensante. Il respiro, come metafora, farà da guida nelle sfide che dovremo affrontare affinché alcuna pandemia possa trovarci impreparati e scalfire le radici del significato profondo dell’essere umani. Scrivere la Carta per lo spazio pubblico della città significa avere volontà di dare avvio a un’efficace alfabetizzazione di coscienza critica affinché le comunità possano riappropriarsi del proprio habitat come garanzia di esistenza. Per molte settimane la città è stata ora metafisica ora iperrealistica, ma non dobbiamo dimenticare che ha le nostre stesse fattezze, è carne! I suoi spazi sono la nostra linfa.

Nel futuro non c‘è posto per le distinzioni: ciò che farà la differenza da oggi in poi non saranno speciali pozioni, ma essere umani! Nuove alleanze dovranno promuovere leggi praticabili per uscire dalla solitudine e per non cadere nella generica trappola di quella che potrebbe già delinearsi come l’era della Pandemic Architecture, per rifuggire dalla plastica e dalla sua trasparenza ingannevole. Resilienti o resistenti, facciamo architettura anche solo nell’atto di mettere a posto, sistemare e ricucire gli strappi, per diminuire le distanze che ci distolgono dalle ragionevoli premesse al costruire un mondo che funzioni veramente bene. Il resto lo impareremo insieme strada facendo, con responsabilità e onesta passione, a taglia umana.

 

Immagine di copertina: scorcio di Venezia dal ponte della Costituzione

 

Autore

  • Lucia Krasovec-Lucas

    Architetta, PhD e Post PhD in architettura e città moderna, ha insegnato in università nazionali e internazionali, pubblicando monografie e articoli. Già presidente di AIDIA-Italia, ispettore onorario MIBACT e presidente IN/Arch Triveneto, è esperta di analisi e valorizzazione strategica di ambiti urbani e del paesaggio. Consulente per amministrazioni pubbliche e centri di ricerca nazionali e internazionali, tra cui CNR e IMONT, ha ricevuto la Medaglia e il Diploma di benemerenza dal Ministro degli Interni per attività di supporto tecnico, e la Medaglia del Presidente della Repubblica per l’ideazione e organizzazione della serie di convegni "Immagine della città". Organizza e promuove incontri sulle questioni urbane e i temi connessi alla comunità, sostenendo che la rigenerazione urbana deve essere prioritariamente umana

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