Il paesaggio, opzione politica per il futuro
Per il socio onorario AIAPP Franco Zagari è una risorsa chiave anche nelle risposte del post-pandemia, i cui valori devono essere posti al centro del dibattito sulla trasformazione di città e territori
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La pandemia: molti di noi fino a due mesi fa non aveva mai fatto uso di questa parola e non era in grado neppure di darle un significato. La nostra vita pubblica e privata è stata colta di sorpresa e siamo precipitati dalla sera alla mattina in un incubo, che ad ogni ora cambiava i nostri valori di normalità, con una sospensione di diritti e doveri, una peste moderna sconosciuta nelle sue manifestazioni aggressive, neanche la guerra ha seguito un cerimoniale così macabro, l’immagine più violenta che abbiamo mai avuto di una società globale, che è penetrata fino nell’intimità dei nuclei familiari più remoti. Da molti giorni ormai viviamo con una lunga drammatica pausa delle nostre abitudini, che non sappiamo ancora quanto durerà, né se poi sarà veramente una pausa perché ha tutto l’aspetto di un cambiamento radicale delle nostre coordinate di spazio e di tempo. Sappiamo che quanto seguirà, dalla fatidica “fase due” in poi, richiederà di reiventare attività, flussi e comportamenti che hanno configurato fin qui i nostri paesaggi, soprattutto nella vita pubblica.
Oggi voi mi chiedete delle tendenze che potrebbero affermarsi nella concezione del verde, in particolare nello spazio pubblico. Rispondo con una dichiarazione di umiltà: non ne ho idea, anzi non voglio averla, perché questo è un testo di civiltà che dobbiamo scrivere tutti insieme. Immagino tuttavia che sia molto importante cominciare a cercare di spiegare alla gente, e a noi stessi, che cosa sia il paesaggio e perché potrebbe essere una delle risorse più promettenti che la nostra civiltà ci possa offrire come opzione non solo culturale, non solo economica e sociale, ma politica. È incredibile ma anche i dizionari più blasonati definiscono il paesaggio come una parte del territorio di cui ci interessa il valore panoramico, la visibilità, mentre è del tutto ignorato il significato di azione progettuale di trasformazione, fondamentale per la qualità delle risorse che mette in campo, un approccio, un metodo e degli strumenti che mettono in tensione dei temi in ambiti delle dimensioni più diverse.
Il primo ragionamento che dovremmo fare per parlare di verde è di ricercare in un giardino pubblico o privato, grande o piccolo, ben curato o poverissimo, la stessa sacralità che Pierre Grimal indicava come “luogo del sogno e del potere”. Riguarda i valori che sono in gioco, che vanno affermati con forza e passione: la bellezza in primo luogo, senza compromessi così come richiesta con un mandato da un’assemblea pubblica; poi il rispetto e la dignità del lavoro, poi ancora gli obiettivi per raggiungerli, principi di orientamento e qualità di nuova centralità, infine il progetto come istanza di democrazia. Nel dibattito politico il tema del paesaggio non è per ora proposto in modo chiaro. Per ora gli unici valori dichiarati si limitano a uno schieramento di colore, riformista o reazionario, più o meno aperto al mondo del lavoro, alla tutela del patrimonio, all’interesse per l’”altro da sé”, più o meno attratto fra paura e curiosità da tutto quello che appare come sconosciuto.
Il secondo argomento che dovremmo affrontare è il rapporto con la nostra storia, nella prospettiva di una visione di futuro. Dobbiamo ristabilire una continuità come c‘è sempre stata, lottare per un nostro paesaggio italiano che è al tempo stesso moderno e antico. Il terzo argomento riguarda la nostra condizione estemporanea, ad arresti domiciliari che abbiamo accettato e in questo c’è stata una grande novità, che tutti erano sottoposti alla stessa regola di segregazione, chi in un castello, chi in un tugurio, ma vi è una qualità di fondo che ha mosso la fantasia e la creatività oltre ogni limite immaginabile. Dobbiamo farne una forza.
Il “verde” è un termine deprecabile perché eminentemente quantitativo. In compenso è chiaro, perché con il colore e la sostanza della clorofilla denota anche la dotazione nei luoghi di spazi organizzati per il benessere di tutti, fisico e morale, artistico e scientifico attraverso i quali la comunità respira, ma pensa, anche, e storicamente anticipa e sperimenta forme e idee per l’evoluzione dell’habitat.
Due quote nella città dovrebbero essere caratterizzate da una vegetazione densa e interessante, la “quota zero” con parchi, giardini, viali e promenade, e la “quota di copertura”, per la quale la vegetazione non necessariamente dovrebbe essere abitabile, potrebbero svilupparsi giardini sportivi, riserve naturali aeree di positivo impatto.
Uno degli argomenti oggi ricorrenti è il rispetto dei suoli non costruiti; ma il bilancio fra costruito e non costruito non si misura in metri quadri e cubi, in pesi e in litri, non si misura né in zoning, né in standard. Si misura in doveri e diritti rispetto a idee e programmi e proprio dal mondo di Linneo, il meraviglioso mondo delle piante possiamo trarre nuove suggestioni. Penso ad esempio alle coperture di ogni genere di edificio, nelle quali dovrebbero attuarsi a tappeto dei roof garden in ragione di bellezza, di salute, di conoscenza.
FRANCO ZAGARI (Roma, 1945) è figura centrale nella cultura del progetto del paesaggio contemporaneo in Italia e all’estero. Affianca l’attività progettuale alla didattica e alla ricerca teorica su temi quali lo spazio pubblico urbano e il giardino. Le opere e i gli scritti testimoniano un approccio al progetto basato sull’ibridazione tra elementi fisici e immateriali, sulla narratività, sulla interpretazione e sulla anticipazione di comportamenti come anche sull’interattività. Già professore ordinario di Architettura del Paesaggio presso la Facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nel 1998 è nominato Chevalier des Arts et Lettres dal Ministro della Cultura di Francia.