Ma la rigenerazione ha bisogno dell’urbanistica

Ma la rigenerazione ha bisogno dell’urbanistica

 

Secondo il segretario generale dell’INU, gli approcci al tema spesso trascurano proprio la dimensione urbanistica, conducendo a linee d’azione settoriali, limitate e molto probabilmente inefficaci

 

Come succede quasi sempre nel dibattito intorno alle politiche pubbliche, la plurisemanticità delle parole esplode e ciascun attore piega i significati ai suoi interessi e alle sue visioni. Per gli urbanisti la rigenerazione non può che essere la transizione alla città ecologica, nonostante tutte le ambiguità, incomprensioni o incertezze che questo può significare, ma che si possono risolvere solo nel percorso, quando si avrà il sufficiente coraggio d’intraprenderlo con decisione.

All’inizio di un cammino che conduce a un obiettivo radicale, nascono le inerzie con la nota strategia di usare nomi nuovi per cose vecchie. Sebbene riduzione del consumo di suolo e rigenerazione urbana possono essere legate in maniera complementare per dirottare su un obiettivo sostenibile l’industria edilizia, ciò non può comprendere una riduzione della portata della rigenerazione al semplice recupero o rinnovo urbanistico-edilizio, quasi inscritto nel perimetro del Piano casa. Che questa forza sia di una particolare potenza, lo dimostra come riesca ad agire anche all’interno di quadri legislativi regionali che appaiono straordinariamente avanzati. L’INU Puglia ha dovuto protestare perché la legge regionale non si applicasse alle zone industriali, dove capannoni abbandonati offrivano opportunità di riconversione economicamente favorevoli, a danno sia della qualità contestuale della residenza che della riduzione dello spazio per il lavoro.

Nei giorni di segregazione per contenere il contagio da Coronavirus non è mancato chi ha evidenziato come fosse stato abolito l’inquinamento atmosferico, il mare si presentava di un azzurro cristallino del tutto inusuale e si era perfino ridotta l’estrazione del petrolio, il deprecato combustibile fossile che è risorsa esauribile. Un netto miglioramento ambientale pagato, secondo altri, da pesanti costi economici delle imprese. Che questi opposti si confrontino sul terreno della rigenerazione non meraviglia, ma dà la misura di come la politica di conciliazione tra di essi possa scivolare da una parte o dall’altra, facendosi condizionare dall’uno o l’altro dei contendenti. Di fronte a questi conflitti, gli enti locali sono tentati di rinunciare al governo del territorio e lasciare che la società si regoli da sè. La semplificazione amministrativa, invece che riguardare la chiarezza e coerenza legislativa, l’efficienza e competenza degli uffici, sceglie le scorciatoie della delega e del trasferimento delle responsabilità: indebolimento delle visioni d’insieme, aleatorietà della normativa, privatizzazione dell’iniziativa, riduzione del processo pubblico al momento valutativo. Il prevedibile risultato è un cambiamento a macchia di leopardo, guidato dalle risorse del mercato e quindi discriminatorio: una politica ambientale che accentua la polarizzazione sociale.

Le leggi che creano strumenti settoriali per la rigenerazione li aggiungono ai piani urbanistici. Nuovi piani che si sovrappongono a piani, affermazione dal sapore qualunquistico se non fosse per l’aspetto conservatore dell’operazione, la convinzione della difficoltà del cambiamento, risolto in modo additivo. Oramai siamo in molti a ritenere che l’urbanistica debba cambiare per guidare la rigenerazione, e benvenuta sia la regione che riformi il proprio sistema alla luce di questa esigenza. Per la rigenerazione, la necessità del piano è nel legare gli interventi edilizi, le trasformazioni delle parti, al sistema urbano. Oltre che agire per aree, bisogna pianificare le reti operando secondo una strategia commisurata agli attori ed alle risorse. In questo senso, il ruolo del pubblico non è ideologico, ma necessario ad assumere le responsabilità per i beni comuni con i quali promuovere il cambiamento nel suo insieme.

Va anche riconosciuto che questa funzione propulsiva non è stata esercitata per mancanza di risorse. Perciò è il momento che s’investa massicciamente sulle opere pubbliche, in primo luogo per la realizzazione dell’infrastruttura verde [nell’immagine di copertina, un particolare della rete verde di Tokyo], per il drenaggio sostenibile urbano, per gli impianti di circolarità nella gestione dei rifiuti, per la produzione di energia da fonti rinnovabili, per la gestione urbana smart, la prevenzione sanitaria; avendo indicatori di valutazione dei risultati che misurino la riduzione delle isole di calore, le emissioni di gas climalteranti, i servizi ecosistemici.

Autore

  • Francesco Domenico Moccia

    Già professore ordinario di urbanistica del DiArc dell’Università Federico II di Napoli, ha coordinato il corso di Pianificazione Territoriale Urbanistica e Paesaggistico-Ambientale e il master in Urbanistica forense. È stato direttore del Dipartimento di Urbanistica. È segretario generale dell’INU. È stato membro fondatore della Società italiana degli urbanisti e vicepresidente di Metrex, membro dell’Association of European Schools of Planning. È stato assessore all’urbanistica nella Provincia di Napoli, nel Comune di Caserta e di Afragola. Ricerca sulla pianificazione strategica, teoria della pianificazione, aree metropolitane, sostenibilità ambientale con 12 monografie, 27 curatele, 153 contribuzioni e 127 articoli. Dirige la collana Accademia di INU Edizioni. È consulente di diversi enti locali.

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