L’epifania negata dei beni culturali e il senso di comunità
Il nostro patrimonio ha necessità di essere scoperto, non solo visitato virtualmente. Ma le limitazioni imposte cambiano lo scenario
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L’Italia, paese dei cento campanili, è luogo della diversità e della molteplicità culturale, scrigno di beni culturali sia materiali, sia immateriali. Un ricchissimo patrimonio che, come ci stiamo rendendo conto, ha necessità di essere vissuto, non solo visto, bensì visitato e non solo virtualmente. Il visitare ha una radice profonda: è parte della nostra cultura e della storia dell’arte, è da sempre collegato a un’epifania, all’accadere di un evento e al suo manifestarsi. Pensiamo a Maria, che visita la cugina Elisabetta nella «Visitazione» di Jacopo Pontormo e poi di Bill Viola, oppure all’angelo che visita Maria nell’«Annunciazione» di Beato Angelico. Oggi siamo stati privati dell’epifania, della scoperta di noi stessi al di fuori di noi, di ciò che esprime la visita/visione del bene culturale che abbiamo preservato per noi stessi, per nostra personale memoria e per le generazioni future.
Le nostre città sembrano essere diventate la scenografia del film The Last Man on the Earth (pellicola del 1964 di Ubaldo Ragona, tratto dal testo di Richard Matheson I am legend), con la differenza che le case non sono vuote, bensì piene di persone e famiglie che silenziosamente conducono la propria esistenza in solitudine, private di un senso comune d’identificazione e confronto, come pure degli spazi della socialità, che molto frettolosamente sono stati individuati nei balconi delle case.
La visita ai monumenti, ai musei, al patrimonio, non può essere solo virtuale. Questa tipologia di fruizione è lacunosa e insufficiente, seppure ora utilissima. Infatti i molti contenuti digitali che descrivono i beni culturali sono un racconto ben orchestrato che, però, non permette di sparigliare le carte, di scegliere un nostro percorso, di scoprire creativamente e imparare attraverso libere associazioni d’idee e immagini. E non solo: la visita virtuale elimina l’empatia e – perché non ammetterlo? – anche il fastidio che si prova talvolta accanto agli altri visitatori; essa azzera – nel bene e nel male – l’appartenenza a una comunità.
Comunità e democrazia
Comunità che ha molti significati, numerose letture e dei vantaggi, tra cui quello di permetterci l’anonimato, che di questi tempi verrà molto probabilmente annullato con l’utilizzo di dati non aggregati che ci riguardano, facilitando il passaggio dal binomio individualismo/protagonismo a quello individualismo/fuga (dalla comunità). Il cambiamento che si prospetta per lo stato di democrazia sul breve periodo sembra vantaggioso: preservare la salute della comunità e del singolo, senza la quale anche la democrazia sparirebbe, in cambio di un primato dello stato-nazione. La scelta pare obbligata, o quasi: sorveglianza totalitaria o responsabilizzazione dei cittadini, isolamento nazionalista o solidarietà globale. Si prefigura un momento storico in cui lo stato può controllare i cittadini – non solo a suon di decreti, bensì di leggi speciali – tramite la tecnologia, avviandosi lentamente e senza opposizione (è pur sempre per il bene di tutti!) verso un monitoraggio più capillare che può influenzare non esclusivamente l’economia, ma anche la politica e molte scelte che hanno a che fare con l’etica e che al momento non immaginiamo. Ecco che molti aspetti dello stato democratico – a cui siamo abituati e che diamo per scontati – stanno venendo a cambiare o addirittura a mancare.
E qui ritorna il significato della comunità, sinonimo di collaborazione e di fiducia: sappiamo bene che il senso di solidarietà non si spezza facilmente in famiglia, anche dopo un lungo silenzio con i nostri fratelli. Vi sono poi le associazioni di vario tipo – fondate sulla volontà di partecipazione e su interessi comuni – e più di recente la fiducia nella scienza e, infine, quella sempre più radicata nella rete, con le sue opportunità d’informazione e organizzazione. La comunità condivide e rende partecipi; ora invece divide, crea distanze e per sopravvivere ha bisogno del “distanziamento sociale”, che altro non è che distanza fisica. E tale distanza fisica annulla lo spazio pubblico e la piazza, centro della nostra vita sociale e comunitaria.
Quale futuro attende dunque il patrimonio che non si può visitare e che dovrebbe vivere delle persone che lo visitano, visto che attraverso l’epifania nasce la conoscenza? Per i beni culturali si può parlare davvero di un “patrimonio virtuale” alla portata di tutti, o rischia di diventare uno spettacolare catalogo dell’allontanamento e dell’esclusione? Non vi è ancora risposta in questo momento di considerazioni acerbe. Sembra chiaro, però, che il settore della cultura sarà tra gli ultimi ad avere finanziamenti per potersi riprendere lo spazio democratico. Oppure no?
Il disegno di copertina è stato appositamente realizzato dall’artista Tommaso Franchi
Componente del Comitato Scientifico di IN/Arch, responsabile del percorso di formazione Storia e Critica per il CTF, componente della Commissione parità di genere sempre per l’Ordine degli Architetti di Roma e provincia. Già Segretaria di IN/Arch Lazio e di DO.CO.MO.MO Italia, è esperta di pratiche urbane e ricercatrice indipendente specializzata nel patrimonio culturale. Si occupa di temi del moderno ed è autrice di contributi, anche video, sulle trasformazioni urbane e sulla valorizzazione dei beni culturali. Ha lavorato come ricercatrice al CNR e all’Università Sapienza di Roma sui temi dei centri storici minori e della partecipazione come governance e strategia innovativa di valorizzazione. Ha collaborato in Cina con WHITRAP UNESCO per l’applicazione del Paesaggio Storico Urbano. Dall’esperienza sul campo ha ideato e curato il progetto “Passeggiate fuori porta” con CNR e IN/Arch Lazio. È dottore di ricerca e specializzata in “Restauro dei monumenti architettonici” all’Università Sapienza, dove ha insegnato Restauro e Progettazione architettonica e dove è stata titolare del corso di Teoria e storia del design.