Opere del Novecento, patrimonio bistrattato
Per il presidente di Do.Co.Mo.Mo. Italia la riconoscibilità di una nazione dovrebbe passare anche dalla capacità di recuperare e valorizzare l’eredità recente
Non eravamo nati quando Pier Luigi Nervi realizzò a Firenze lo stadio Berta, oggi Franchi. Né quando Giuseppe Terragni progettò i suoi capolavori a Como. Eravamo ancora inconsapevoli quando Sergio Musmeci inventò il ponte sul Basento, presso Potenza, o quando Angelo Mangiarotti ideava i suoi teoremi architettonici. Eppure, per la storia dell’architettura Nervi, Terragni, Musmeci, Mangiarotti, assieme a tanti altri, sono gli eroi di una cultura di cui oggi siamo ben consapevoli. Una cultura che continua a vivere nelle loro opere, testimoni in tutto il mondo dell’ingegno italiano. Ma che oggi sono a rischio, per programmi incongrui d’intervento o per trascuratezza. Vittime esemplari della mancata considerazione in cui è tenuta la produzione architettonica italiana del Novecento.
Lo stadio Berta a Firenze, costruito in due fasi tra il 1930 e il 1932, ha subito pesanti interventi in occasione dei Mondiali di calcio del 1990: abbassamento del campo ed eliminazione della pista di atletica; nuove scale; nuovi volumi tecnici; ampliamento della pensilina. Oggi, addirittura, si pensa a coprire l’intero stadio e ad avvicinare al campo le gradinate di testata. Le scale elicoidali [nella foto di copertina, un particolare], la tribuna, la Torre Maratona, l’ingresso monumentale sarebbero da “salvare” per chi ritiene che un’opera possa essere smembrata in parti da conservare o da buttare. Lo stadio Berta ha inaugurato, con grande anticipo, una concezione innovativa in cui i setti, l’intradosso delle gradinate, le scale sono come i contrafforti delle cattedrali gotiche: struttura e, insieme, architettura. E invece, si guardi come le “coperture” posticce abbiano messo fuori scala altri due gioielli: lo stadio San Paolo a Napoli, di Carlo Cocchia, e lo stadio Adriatico a Pescara, di Luigi Piccinato.
Discorso differente, ma altrettanto negativo per le opere di Terragni, testimoni del rilievo internazionale della cultura architettonica dell’epoca. Per il Novocomum (1928-29), pur vincolato, sopravvivono solo alcuni elementi dell’originaria costruzione. I responsabili dell’Archivio, che custodiscono i progetti, non riescono a stabilire adeguate modalità operative con il Comune di Como e con la locale Soprintendenza. Si rincorrono i problemi invece di prevenirli e si attuano manutenzioni di emergenza. L’asilo Sant’Elia (1936-37), anch’esso vincolato, resterà chiuso almeno fino alla primavera 2020. L’intervento riguarderebbe il controsoffitto, ma i problemi sono molto complessi e richiedono un ben più organico programma di restauro.
Per l’edificio industriale di Angelo Mangiarotti a Bussolengo (1976), con purissimi riferimenti al linguaggio di Mies van der Rohe, si parla di “parziale demolizione e ampliamento”. Invece, per il citato ponte sul Basento di Musmeci (anni ’70), in stato di grave incuria nonostante il vincolo del MIBAC, da due anni sono stati stanziati 3 milioni. Ma finora nessuna gara. E nessun intervento.
I beni di questo capitale possono scomparire in un istante, com’è avvenuto per il ponte di Riccardo Morandi a Genova, o a poco a poco, in modo impercettibile. Dunque, si abbia il coraggio di fare un nuovo stadio a Firenze e si restauri il Franchi utilizzandolo con un po’ di fantasia e di competenza. Si considerino le opere di Terragni come un segmento imprescindibile del nostro patrimonio, predisponendo un adeguato piano di recupero. S’intervenga sul ponte di Musmeci e si conservi lo stabilimento di Mangiarotti. Anche per queste opere passa la nostra riconoscibilità di nazione.
Nato a Napoli (1948), vi si laurea in Architettura nel 1973. Direttore presso la Soprintendenza BAP di Napoli e provincia dal 1979 al 2013 e Soprintendente reggente nel 2000. Componente del comitato tecnico per il Piano nazionale per gli archivi e l’architettura del Novecento del MiBACT (2001-2013). Membro del comitato scientifico dell’Associazione Dimore Storiche – Campania. Presidente di Do.Co.Mo.Mo. Italia ONLUS. Autore di numerosi restauri e di allestimenti di mostre di architettura e arte. Premio ex-aequo al concorso per progetti pilota per la conservazione dei monumenti tra Paesi membri CEE con il progetto per la chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli (1988). Dal 1996, docenze a contratto presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, la Seconda Università degli studi di Napoli, l’Università degli studi della Basilicata e l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa. Tra le principali pubblicazioni recenti: “L’area metropolitana di Napoli. 50 anni di sogni utopie realtà” (curatela con M. Visone; Napoli 2010); “Maledetti vincoli. La tutela dell’architettura contemporanea”, Torino 2012; “Time Frames: Conservation Policies for Twentieth-Century Architectural Heritage (curatela con M. Visone; Londra-New York 2017)