Occhio, quel “capannone” è di Mangiarotti!
Desta preoccupazione il progetto di parziale demolizione e ampliamento di un’architettura industriale esemplare firmata da Angelo Mangiarotti a Bussolengo
BUSSOLENGO (VERONA). Può il progetto di parziale demolizione e ampliamento di un “capannone” – virgolette d’obbligo! – destare preoccupazione per la sostanziale perdita di un’opera architettonica dalla singolare identità e valore? Parrebbe impossibile di fronte alla moltitudine di scatoloni di cemento tirati su alla bell’e meglio in ogni zona industriale di ogni italico comune, oggi spesso desolatamente vuoti (ahinoi). Eppure basta il nome del progettista del caso in questione a farci drizzare le antenne e a richiedere un supplemento di attenzione. Si deve infatti ad Angelo Mangiarotti (1921-2012) il progetto della concessionaria d’auto costruita nel 1976 a Bussolengo, utilizzando un sistema industrializzato pensato appositamente per questo edificio che ne rappresenta quindi il prototipo originale.
Fu un lungimirante committente a incaricare Mangiarotti di un corpus di opere nella provincia di Verona, a partire da una prima concessionaria realizzata nel 1968 a Domegliara con il sistema costruttivo Facep 1964 messo a punto dall’architetto milanese qualche anno prima. Demolito frettolosamente nel 2018 questo edificio, restano fortunatamente integri – nascosti agli occhi dei più – il villaggio residenziale di Murlongo che Mangiarotti costruì nel 1972 all’interno di un grande parco punteggiato di cipressi affacciato sull’orizzonte del lago di Garda, e la villa Pederzoli a Bardolino (1972) con la quale suggellò il fortunato rapporto con il committente costruendogli un’eccezionale casa modernista.
A chiudere il cerchio tornando all’architettura industriale, l’edificio di Bussolengo per Mangiarotti ha rappresentato l’occasione per mettere a punto un nuovo sistema costruttivo, che s’inserisce in una feconda ricerca evolutiva sui componenti per l’edilizia industrializzata. Il riferimento concettuale anche in questo caso è il sistema trilitico pilastro-trave-tegolo, declinato con un profilo della trave a Y capovolta che segna l’immagine di questa famiglia di elementi e rende possibile con semplicità anche la formazione di notevoli sbalzi della copertura. Il tema del sistema costruttivo trilitico è già presente in una delle opere più note di Mangiarotti, la chiesa di Baranzate (Milano, 1957, con Bruno Morassutti), e ritorna in molti altri edifici che non hanno goduto di particolare fortuna: l’elenco delle demolizioni di depositi, padiglioni e edifici industriali è purtroppo lungo.
Oggi il capannone di Bussolengo, dismesso da alcuni anni, è a rischio. Eppure le caratteristiche di serialità, la fungibilità dei tamponamenti trasparenti o opachi, l’indifferenza degli spazi interni ne consentono con facilità un riuso anche a prescindere dall’originaria destinazione artigianale-industriale, quindi anche in senso commerciale: sarebbe anzi un modo per valorizzarlo. Appare insensato invece il progetto urbanistico recentemente approvato che ne prevede lo stravolgimento, avvolgendolo con un volume in ampliamento che andrebbe a cancellarne l’essenza costituita dalla tipologia strutturale a vista e dalla morfologia dei suoi componenti, aspetti imprescindibili dalla configurazione complessiva. Sembra che una malcelata interpretazione delle normative recenti che hanno concesso generosi ampliamenti volumetrici in deroga a tutto – i famigerati Piani Casa – faccia ritenere necessario per ogni intervento edilizio il bonus, l’extra, l’aiutino.
Ma ciò che si può, non sempre si deve: tanto meno in presenza di un valore architettonico che deve essere riconosciuto, come in questo caso. E qui arriviamo al tema culturale dello status di un edificio industriale che, partendo da una condizione utilitaristica, fatica a risalire la china di un riconoscimento di valore condiviso, nonostante un forse tardivo revival critico sul suo autore testimoniato da pubblicazioni e mostre recentissime (cfr. l’esposizione itinerante «Angelo Mangiarotti. La tettonica dell’assemblaggio», a cura di Franz Graf e Francesca Albani, ospitata fino a giugno scorso al Castello Sforzesco Visconteo di Novara). Lo stesso elenco ministeriale delle “Architetture del secondo Novecento”, che pure comprende l’edificio di Bussolengo, lo annovera tra le “opere recenti” sul gradino più basso del podio, al di sotto delle “opere selezionate” comprendenti Murlongo, e delle “opere di eccellenza” tra le quali spicca villa Pederzoli. Deve trattarsi però solo di sfumature: pur non dando origine a una forma di tutela codificata, sulla quale il dibattito è aperto, vogliamo pensare che tale censimento possa servire quanto meno ad evitare lo stravolgimento delle opere che ne fanno parte: come l’ex concessionaria di Bussolengo, un esempio ancora attuale di una rigorosa modernità industriale possibile, sebbene rara.

Nato a Peschiera del Garda (Verona) nel 1968, si laurea in architettura al Politecnico di Milano, dove ha svolto attività didattica e di ricerca fino al 2012. Alla libera professione affianca la ricerca sulla comunicazione del progetto architettonico e urbano, organizzando incontri e iniziative, scrivendo numerosi articoli e saggi e curando pubblicazioni. Dal 2010 dirige la rivista «Architettiverona»