Dall’INU un patto per l’urbanistica italiana

Dall’INU un patto per l’urbanistica italiana

Report dalla VII Rassegna urbanistica nazionale e dal XXX Congresso, svoltisi a Riva del Garda

 

È stata la proposta di un Patto per l’urbanistica italiana (scarica il documento congressuale) al centro della quattro giorni che l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha organizzato a Riva del Garda, dal 3 al 6 aprile scorsi. Nelle stesse giornate si sono tenute la settima Rassegna Urbanistica Nazionale “Mosaico Italia: raccontare il futuro”, che ha visto la partecipazione di 155 espositori tra enti pubblici e organizzazioni per un totale di 266 pannelli (nella foto di copertina), e il trentesimo Congresso intitolato “Governare la frammentazione”.

Il Patto per l’urbanistica italiana, presentato dalla presidente Silvia Viviani nella sua relazione introduttiva nel corso della giornata del 5 aprile dedicata al Congresso scaturisce da un progetto e da una proposta che abbia al centro un’urbanistica che sappia offrire utilità sociale. Durante la giornata di lavori, dopo la relazione della presidente INU si sono alternati i rappresentati degli enti e delle associazioni “chiamati” a contribuire: i Comuni, le Province, le Regioni, le Comunità montane, gli architetti, gli agronomi, il mondo sindacale, le organizzazioni del commercio e dei costruttori, per citarne alcuni. Un necessario lavoro di rete perché, ha detto Viviani, «Chi si occupa di urbanistica deve lavorare in squadra, perché il fine è comune: garantire l’interesse generale». Sono cinque le parole che definiscono campi d’azione che saranno alla base del programma, su cui si poggia il Patto: garantire (prestazioni urbane inderogabili in tutto il Paese); qualificare (l’urbanistica deve puntare alla riconquista disciplinare di parole come rigenerazione urbana e contenimento del consumo di suolo); attualizzare (ovvero rinnovare e rafforzare la connessione tra programmazione e pianificazione urbanistica); differenziare (per un regionalismo differenziato efficace, equo e non divisivo); democratizzare (che nasce dalla constatazione che l’area vasta è l’anello debole della filiera della pianificazione, e su quello bisogna intervenire, riottenere l’elezione dei presidenti delle Province per ripristinare la legittimità popolare nell’attribuzione delle competenze di pianificazione di area vasta, e corrispondere alle Città metropolitane risorse adeguate per i servizi che vi fanno capo).

La giornata congressuale è stata preceduta nella serata del 4 aprile dal conferimento del Premio Inu all’associazione Libera, che a sua volta ha concluso una giornata in cui si sono svolti sedici seminari paralleli in cui i rappresentanti degli enti espositori, coordinati da esperti e curatori dell’INU, hanno dibattuto sui temi e le priorità al centro del dibattito sul governo del territorio e la pianificazione urbanistica. Simone Ombuen, coordinatore di due incontri dedicati rispettivamente a “Programmi e azioni per città sostenibili” e “Progetti per nuove centralità”, ha rilevato che, nonostante ci si trovi nel pieno di una fase di oggettiva difficoltà, «Molte amministrazioni si muovano per fare emergere condizioni possibili di rinnovamento delle città. È anche emersa una minore spinta dei soggetti privati rispetto a prima della crisi; sono le amministrazioni pubbliche che fungono da promotrici delle iniziative». Poi, spiega Ombuen, è evidente anche il cambiamento della natura del ruolo pubblico: «Prima i piani urbanistici erano fondati sull’espansione, ora si parte della riduzione delle previsioni edificatorie contenute nei piani precedenti. Un’altra annotazione è che si fa più pianificazione dove il mercato del lavoro è più attivo, dove l’economia è più disposta alla creazione di posti di lavoro».

Anche Francesco Sbetti ha curato due seminari, dedicati a “Territori e turismo” e “Reti per la mobilità dolce”, tema quest’ultimo su cui l’INU ha costruito un progetto apposito, di cui Sbetti è tra i coordinatori. Oltre a rilevare un notevole aumento d’interesse nel tema, che si traduce in un incremento di chilometri di piste ciclabili nelle città, Sbetti ha segnalato che a livello di pianificazione sempre più «le Regioni sono degli elementi snodo, in quanto devono coordinare il ruolo dello Stato che ha stanziato i fondi per le dieci ciclovie di livello nazionale e i Comuni che devono realizzare le infrastrutture sui propri territori». Tra i curatori del seminario di un altro tema all’ordine del giorno, quello che ha raggruppato i rischi e le fragilità ambientali e le aree interne, Luana Di Lodovico ha sottolineato la raccomandazione di un «Lavoro coordinato tra il mondo della ricerca, il mondo accademico, l’amministrazione e i tecnici per continuare a fare in modo che l’approccio a questi temi, su cui la sensibilità è in aumento costante, sia sempre più efficace e che rientri nell’ordinarietà».

Il segretario generale dell’Inu Luigi Pingitore è stato poi tra i curatori del seminario su “Politiche di intervento nella Città metropolitana tra programmazione e pianificazione urbana, territoriale e strategica”, con la partecipazione tra gli altri di Agenzia per la Coesione Territoriale, Ifel – Anci, Presidenza del Consiglio e alcune Città Metropolitane come Catania e Bologna nel quale, spiega, «dal confronto fra i partecipanti è emerso in modo chiaro che il Pon – Metro (Programma operativo nazionale per le città metropolitane) ha stimolato una capacità di fare sistema tra città, Agenzia per la coesione territoriale e tutti gli altri livelli di amministrazione e rappresentanza centrale e locale. Tuttavia rimane ancora molta strada da fare, anche in previsione del prossimo ciclo di programmazione, nel raccordo con gli strumenti di pianificazione, in generale, e con le novità della “Delrio” e dell’ordinamento in materia di lavori pubblici».

Nel seminario coordinato, tra gli altri, da Roberto Mascarucci, si è approfondita la dimensione sovracomunale della pianificazione, evidenziando la presenza sul territorio nazionale di città medie che di fatto funzionano come città metropolitane. Perciò, secondo Mascarucci, la dimensione progettuale «Deve prendere atto che la disintegrazione dei servizi non va contrastata ma occorre trovare alternative, bisogna ridare senso alle aree centrali a prescindere dai servizi, trovare ad esempio nuove funzioni per i centri storici». Nel seminario curato da Marisa Fantin dedicato ai progetti per la città storica, evidente è stata la presenza di scale diverse d’intervento, che partono dagli apparati normativi per arrivare ai concorsi d’idee e al coinvolgimento dei cittadini. Tra le osservazioni sul seminario che ha curato su “Welfare, qualità urbana e partecipazione”, Marichela Sepe ha sottolineato l’emergere di «Nuove competenze che aiutano a individuare e sfruttare i possibili canali di finanziamento per la progettazione e la riqualificazione degli spazi pubblici». Un altro aspetto rilevante è stato quello della realizzazione delle mappe di comunità nell’ambito del processo di ascolto dei cittadini dei piccoli centri interessati da azioni di rigenerazione.

Sempre nell’ambito dei seminari paralleli del 4 aprile, significativa è stato presentato il documento Linee guida – politiche integrate per città accessibili a tutti che scaturisce da un percorso di 25 iniziative pubbliche in tutto il territorio nazionale, intrapreso dal programma di lavoro “Città accessibili a tutti” coordinato da Iginio Rossi. Dal 2016, le iniziative hanno coinvolto 900 partecipanti e raccolto oltre 120 buone pratiche, esperienze per il miglioramento dell’accessibilità dei nostri centri urbani. Un percorso e un patrimonio che diventano un Atlante delle città accessibili, di cui proprio le linee guida costituiscono l’ossatura.

La quattro giorni di Riva del Garda è stata seguita da circa mille partecipanti. L’apertura, il 3 aprile, è stata affidata al convegno “Il governo del territorio montano nello spazio europeo”. Il presidente di INU Trentino Maurizio Tomazzoni ne tira le somme: «È emerso come le Province autonome, a cominciare dal Trentino, grazie all’autonomia pianificatoria sono riuscite a costruire un’identità, non sono aree marginali quanta piuttosto aree dove la montagna è presidiata, il benessere diffuso, il turismo controllato. In questo senso il confronto con le aree montane delle altre regioni è impietoso. Emerge quindi la necessità di riservare un’attività di pianificazione che sia mirata. Portare il modello della pianura in montagna non ha funzionato, funziona piuttosto la montagna come luogo di costruzione di modelli diversi. La questione è culturale: l’abitante della montagna ragiona su una qualità della vita legata a valori differenti».

 

Guarda il video integrale del XXX Congresso (5 aprile)

Guarda il video integrale dell’assemblea dei soci INU (6 aprile)

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