Scuola media di Tuscania, stop alla demolizione!
Una petizione contro la sostituzione del complesso progettato da Sergio Lenci nel 1971 nel Viterbese
Published 31 gennaio 2024 – © riproduzione riservata
TUSCANIA (VITERBO). Con la demolizione della scuola media di Sergio Lenci, in seguito al bando PNRR Futura, si amputa un intero comparto di architettura sperimentale d’autore degli anni settanta: l’opera collettiva dell’insediamento GESCAL (Gestione Case Lavoratori), oggi ATER, co-progettato, oltre che dallo stesso Lenci, da Sara Rossi (che ne è anche coordinatrice), Luisa Anversa, Sergio Bonamico, Enzo Mastelloni, come risposta immediata e riuscita al sisma anomalo che nel 1971 lasciò 1.500 persone senza casa. L’intero insediamento è iscritto nel Censimento nazionale delle opere di architettura di “rilevante interesse storico-artistico” costruite dopo il 1945, a cura del Ministero della Cultura.
“Salviamo la scuola di Sergio Lenci”
La petizione “Salviamo la scuola di Sergio Lenci” invita l’amministrazione comunale di Tuscania a un ripensamento, come è avvenuto per la scuola primaria di Costantino Dardi Bambini del Vajont a Longarone, sollevando questioni che riguardano sia la tutela, la conservazione e il riuso delle architetture d’autore sperimentali, e in particolare le scuole, sia l’heritage di opere collettive come organismo architettonico non parcellizzabile.
Fino a che punto la proprietà e la miope gestione amministrativa di un singolo edificio può determinare lo svilimento e la distruzione di un’opera collettiva? Quale effetto post-traumatico può provocare la demolizione di una scuola “anomala” che con il suo tetto-anfiteatro, gli oblò, le grandi vetrate, l’apparente dissimmetria dei prospetti e il loro sdoppiarsi in pianta quasi come in un test di Rorschach, incorpora e nel contempo sollecita il desiderio di essere simultaneamente scuola-agorà? Cosa implica per l’ecosistema la demolizione, piuttosto che l’opportunità di ricomprendere il senso culturale dell’heritage architettonico sperimentale attraverso l’aggiornamento consapevole degli interni e il restauro programmato?
Il 6 febbraio il quartiere GESCAL a Tuscania entra nel 50° anno dal suo primo compimento, quando nel 1974 furono concluse le prime unità di abitazione consegnate all’inizio del 1975, a 4 anni dall’inizio del progetto, l’estate del 1971. Nel giugno di quello stesso anno, venne varata la legge speciale n. 288 per il finanziamento di un insediamento che nel contempo costituiva anche il primo segmento del Piano regolatore appena antecedente al sisma, che avrebbe dovuto fungere da “fascia di contrappunto riequilibrante e tessuto connettivo rispetto al nucleo storico” precisa Sergio Bonamico, tra i progettisti del PRG, “in grado di innescare meccanismi anche spontanei, di riqualificazione dell’intorno incoerente, frutto di licenze edilizie concesse senza idea alcuna di pianificazione dal 1950 in poi”. Bonamico non aveva immaginato che di lì a poco un evento distruttivo come il terremoto di magnitudo 5.2 avrebbe dato corpo al primo impianto del nuovo PRG, con una progettazione di cui egli stesso fu coautore.
Un’architettura paradigmatica urbano-rurale
Il progetto post-sisma diventa un’architettura paradigmatica urbano-rurale, congiuntura tra il lavoro agricolo autonomo (frutto delle lotte per la riforma agraria) e l’ampia adesione all’impiego subordinato nella cornice dello Statuto dei lavoratori (20 maggio 1970). In questo contesto il progetto è anche un caso emblematico del metodo di ricerca del Centro studi GESCAL, che avvia un’inchiesta sociologica in dialogo con un comitato cittadino per incorporare i desideri di una società “oscillante tra l’intensificazione del settore terziario del lavoro e l’incalzare delle sollecitazioni consumistiche nella permanenza di consuetudini legate alla tradizione contadina”, come la descrive Lenci nel 1977, nel numero 261 di “L’architettura. Cronache e storia”, con un testo collettaneo del gruppo di progettazione.
Di questo insediamento, composto da cinque blocchi residenziali disposti linearmente e parallelamente al nucleo storico, secondo l’impianto cardo-decumano, oggi l’amministrazione comunale di Tuscania intende demolire la scuola media progettata da Lenci che ne è lo snodo urbanistico e compositivo inscindibile dal corpo di fabbrica per attività commerciali e culturali progettato da Anversa, e dalla scuola materna opera di Bonamico. Inscindibile è anche il metodo di progettazione collettiva: il gruppo di progettazione coopera a un palinsesto comune da cui emergono, in ogni blocco, le singole poetiche architettoniche.
Una scelta, quella della demolizione, incoerente rispetto al libro, commissionato dalla Direzione ATER Viterbo e in corso di pubblicazione, che intende ricomprendere attraverso il quartiere GESCAL a Tuscania, il senso del progetto come ricerca collettiva in architettura. Dell’urgenza di trovare un adeguato strumento di tutela di questo insediamento ne era convinto anche Paolo Portoghesi che, durante una recente intervista a questo giornale, ne rilevò l’interesse culturale in sé e come prima opera di una serie di complessi architettonici del contemporaneo, da proteggere e curare.
Architetta museografa, docente al Politecnico di Milano. Insegna architettura degli interni, exhibition design e si relaziona con le arti contemporanee (commons), di cui scrive su riviste specializzate italiane e internazionali. La museografia è il filo rosso che attraversa sia l’impegno teorico, sia la progettazione e la messa in opera di allestimenti che riguardano le intersezioni sensibili all’arte, alla scienza e alla filosofia, in sinergia con enti universitari, musei e istituti di ricerca. L’indagine su media art come dispositivi di produzione artistica in commoning è l’ambito di studio e di sperimentazione delle attività più recenti, da cui prende corpo con Freddy Paul Grunert, Lepetitemasculin, dialogo nello spazio perso, iniziato al Lake County, San Francisco.