(Archivio Pier Luigi Nervi Project Association)

Roma, stadio Flaminio verso una “tutela attiva”

Roma, stadio Flaminio verso una “tutela attiva”

 

Per l’opera di Pier Luigi e Antonio Nervi, il vincolo monumentale è il primo esito del piano di conservazione in corso di elaborazione da parte di un gruppo coordinato dalla P.L. Nervi Project Association

 

ROMA. Come tante architetture del ‘900, lo stadio Flaminio di Pier Luigi e Antonio Nervi (1957-58), versa in stato di totale abbandono e in pessime condizioni. Il CONI, a cui il Comune l’aveva affidato in gestione, ha operato una serie d’interventi che non hanno tenuto conto delle peculiarità dell’opera, snaturandone i caratteri.

La buona notizia è che Roma Capitale, ponendosi il problema di recuperare la struttura, si è rivolta alla P.L. Nervi Project Association per avere orientamenti sul recupero e il riutilizzo dell’opera. L’associazione con sede a Bruxelles ha costituito un gruppo di lavoro con il Dipartimento d’Ingegneria Strutturale e Geotecnica dell’Università La Sapienza di Roma e con Do.Co.Mo.Mo. Italia per la formulazione del piano di conservazione dello stadio. Il programma è risultato il più finanziato dalla Getty Foundation per l’anno 2017 nell’ambito del programma “Keeping it Modern” e sarà consegnato nella prima metà del 2019.

Si tratta di un raro caso in cui un ente territoriale assume uno strumento di carattere culturale e tecnico quale importante riferimento per i propri orientamenti e decisioni. Presupposto fondamentale del piano di conservazione è stato il vincolo monumentale che il gruppo di lavoro ha prospettato alla Soprintendenza Speciale di Roma Capitale e che quest’ultima ha predisposto a tempo di record (D.M. del 27 settembre 2018 n.74). Il provvedimento è stato decretato per interesse “relazionale”, con riferimento agli aspetti storici e contestuali dell’opera, non essendo ancora trascorsi i 70 anni dalla sua realizzazione che la legge prescrive per apporre un vincolo per interesse “intrinseco”. Il provvedimento è parte integrante del piano di conservazione, in quanto consente di ottemperare ai requisiti di conformità in senso prestazionale piuttosto che applicando pedissequamente la lettera della norma. Tale circostanza è tanto più rilevante in opere di carattere strettamente funzionale, per le quali le normative di sicurezza (accessi, circolazione, ecc.), quelle impiantistiche, quelle antisismiche sono in continua evoluzione e impongono spesso interventi che rischierebbero di snaturare l’organismo.

Il vincolo sullo stadio, inoltre, va considerato il primo anello di una tutela a “rete” che comprende anche le altre tre opere realizzate da Nervi per le Olimpiadi romane del 1960, cui lo stadio Flaminio resta strettamente riferito: il Palazzetto dello Sport (con Annibale Vitellozzi), il viadotto di Corso Francia e il Palazzo dello sport all’EUR (con Marcello Piacentini), che diffusero la cultura e l’ingegno italiani nel mondo, portando la fama dello stesso Nervi a livello intercontinentale. Le quattro opere, inoltre, testimoniano il successo della cosiddetta “architettura dell’ingegneria”, che ha segnato una felice stagione dell’architettura italiana tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento. Sicché una tutela estesa contemporaneamente a queste opere, in cui siano considerati i fattori storici, tecnologici e ideativi che le accomunano, si traduce in una vera e propria strategia culturale, in cui i vincoli sono parte integrante di un processo di tutela attiva.

Il carattere attivo di tale strategia è determinato, appunto, dal piano di conservazione, che è uno strumento intermedio tra il vincolo e il progetto di restauro. Il vincolo, infatti, è un mezzo di tutela di carattere amministrativo, che pone l’opera sotto il controllo del MiBAC. Il progetto di restauro è uno strumento tecnico, che determina in modo univoco le modalità di ripristino e riuso dell’opera. Il piano di conservazione, invece, registra le condizioni di quest’ultima, non solo “fotografandone” lo stato attuale ma prevedendone l’evolversi, con particolare riferimento ai fattori di rischio che possano comprometterne la conservazione. E fornisce, di conseguenza, tutte le indicazioni e gli orientamenti cui dovrà essere riferito il progetto di restauro e riuso. In tal senso, è lo strumento più moderno di tutela, in quanto, tenendo in debito conto i caratteri dell’opera, ne considera i possibili aggiornamenti.

Autore

  • Ugo Carughi

    Nato a Napoli (1948), vi si laurea in Architettura nel 1973. Direttore presso la Soprintendenza BAP di Napoli e provincia dal 1979 al 2013 e Soprintendente reggente nel 2000. Componente del comitato tecnico per il Piano nazionale per gli archivi e l’architettura del Novecento del MiBACT (2001-2013). Membro del comitato scientifico dell’Associazione Dimore Storiche – Campania. Presidente di Do.Co.Mo.Mo. Italia ONLUS. Autore di numerosi restauri e di allestimenti di mostre di architettura e arte. Premio ex-aequo al concorso per progetti pilota per la conservazione dei monumenti tra Paesi membri CEE con il progetto per la chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli (1988). Dal 1996, docenze a contratto presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, la Seconda Università degli studi di Napoli, l’Università degli studi della Basilicata e l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa. Tra le principali pubblicazioni recenti: "L’area metropolitana di Napoli. 50 anni di sogni utopie realtà" (curatela con M. Visone; Napoli 2010); "Maledetti vincoli. La tutela dell’architettura contemporanea", Torino 2012; “Time Frames: Conservation Policies for Twentieth-Century Architectural Heritage (curatela con M. Visone; Londra-New York 2017)

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