Riqualificazione delle periferie: se la politica volta le spalle
Il futuro dei 96 progetti e 1.625 interventi che avrebbero coinvolto aree di 326 comuni è nelle mani della Camera dei deputati, la quale dovrà votare l’emendamento che di fatto nega i fondi per il Bando Periferie. IN/Arch auspica una mobilitazione nazionale affinché questo “furto con destrezza” non venga compiuto
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Non voglio più sentir parlare di riqualificazione delle periferie. Non voglio più partecipare a convegni e seminari sulla rigenerazione urbana, sul consumo di suolo, sul degrado urbano, sulle smart city, sulla resilienza delle città e via dicendo. Perché le recenti “politiche” perseguite dal nostro Parlamento rendono tutto ciò inutilmente autoreferenziale e sostanzialmente inutile.
Mi riferisco all’approvazione, avvenuta in agosto in Senato, di due emendamenti al Disegno di legge di conversione del Decreto Milleproroghe che hanno di fatto bloccato i fondi destinati ai progetti vincitori del Bando Periferie finanziato con la legge di Bilancio del 2017. Il provvedimento approvato dal Senato, rimandando al 2020 l’efficacia di 96 delle 120 convenzioni firmate dai sindaci e dal Governo Gentiloni, di fatto vanifica un primo coraggioso tentativo di dare concretezza e risorse ai tanti ragionamenti fatti in questi anni sulla rigenerazione delle aree periferiche delle nostre città. Rischiano così di andare in fumo 1,6 miliardi di euro per 96 progetti di riqualificazione delle periferie, 1.625 interventi che avrebbero coinvolto aree di 326 comuni. Interventi per scuole, edilizia residenziale pubblica, riqualificazione di spazi pubblici e verde urbano, nuovi servizi ecc. Un piano che ha visto impegnate tante amministrazioni comunali nonché schiere di progettisti che, per l’ennesima volta, potrebbero veder vanificato il proprio impegno e non retribuito il loro lavoro.
Se l’emendamento in questione verrà approvato anche alla Camera avremo una definitiva conferma che, al di là delle chiacchiere più o meno accademiche, delle periferie in Italia non importa realmente a nessuno o, quanto meno, che questo problema non è in alcun modo annoverato tra le priorità di chi in questo momento governa il Paese. Perché la rigenerazione urbana non si fa con i convegni: si fa prima di tutto con gli investimenti pubblici – capaci di attivare anche risorse private aggiuntive – con buoni progetti di architettura, con procedure snelle e con tempi credibili. Ad essere sepolta una volta per tutte sarebbe altresì qualsiasi forma di credibilità dei patti istituzionali sottoscritti tra Governo e amministrazioni locali: perché i progetti che il decreto Milleproroghe potrebbe annullare sono stati oggetto di formali convenzioni (veri e propri contratti) sottoscritte da sindaci e Presidenza del Consiglio dei ministri, spesso con annesso evento celebrativo. Accordi che rischiano di sparire con quello che l’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) ha definito un vero e proprio “furto con destrezza”.
In sostanza, se la Camera non fermerà questa assurda vicenda avremo tutti un’ulteriore conferma che il degrado, urbano ed istituzionale, nel nostro Paese, è una condizione permanente e perseguita, con buona pace degli architetti e dei loro convegni.
Mi piacerebbe che contro questo provvedimento ci fosse in questi giorni una mobilitazione vera non solo di ANCI e ANCE ma anche di tutto il mondo dei progettisti, a cominciare dal nostro sistema ordinistico a tutti i livelli.
Foto di copertina: le “Vele” del quartiere Scampia a Napoli